Il femminicidio nelle opere letterarie

Il femminicidio nelle opere letterarie

di Ambra Sansolini

Introduzione

Il femminicidio, pur essendo un termine coniato in epoca moderna, compare anche in tutta la letteratura, fin da quella più antica. Il primo uso del termine è del 1990, per opera della docente femminista di Studi Culturali Americani, Jane Caputi e poi della criminologa Diane E.H. Russell. Quest’ultima, nel libro scritto insieme a Jill Radford, dal titolo “Femicide: The Politics of woman killing”, specifica che per “femmicidio” s’intende una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna “in quanto donna”. Da ciò si deduce che la violenza sia la conseguenza di una tendenza misogina.

La cultura della violenza

La letteratura e in generale ogni forma di cultura, veicolano messaggi capaci di condizionare la vita delle persone. Le opere letterarie sono spesso lo specchio della società, ma nello stesso tempo la plasmano. Così, insieme ad altri fattori, una letteratura che presenta come normale e addirittura lodevole, la violenza sulle donne, contribuisce a radicare nei lettori, quella malsana convinzione.
La letteratura, avendo spesso come tema centrale l’amore, non poteva esimersi dal presentare legami con la violenza sulle donne. Infatti per creare una società in cui non vi siano più abusi sulle donne, occorre prima educare all’amore.

Paolo e Francesca della “Divina Commedia”

Uno dei canti più suggestivi e famosi della “Divina Commedia” di Dante Alighieri, presenta un caso di femminicidio. Stiamo parlando del Canto V dell’ “Inferno”, in cui la protagonista Francesca da Polenta (o da Rimini) commette adulterio innamorandosi del cognato Paolo Malatesta e per questo viene uccisa con violenza dal marito, tra il 1283 e il 1285.
In questa storia, si possono chiaramente notare gli effetti dell’articolo 587 del codice penale, “Delitti d’onore”, che recitava: «Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre e sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.» Attraverso tale legge, le pene degli uomini, rei di avere ucciso la donna, venivano così drasticamente ridotte, rispetto a quelle applicate per qualsiasi altro omicidio.

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Il potere della letteratura

Lo stesso Dante Alighieri, negli stessi versi, sottolinea il potere della letteratura, che è presentata come causa dell’adulterio: «[…] Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante […]» Paolo e Francesca, stavano leggendo il celebre romanzo francese, i cui protagonisti sono Lancillotto e Ginevra. Lancillotto era uno dei cavalieri della tavola rotonda, che si era innamorato della Regina Ginevra, moglie di Re Artù. In particolar modo i due cognati, si erano soffermati sulla scena del bacio, che aveva avuto in loro lo stesso esito: «[…]Quando leggemmo il disiato riso/esser basciato da cotanto amante,/questi, che mai da me non fia diviso,/la bocca mi basciò tutto tremante […]» Il Principe Galeotto era colui che aveva consigliato a Lancillotto e a Ginevra di dichiararsi il loro amore. Nel Canto della “Divina Commedia”, infatti Galeotto diviene il libro letto e l’autore.

Il crudo verismo di Verga

Una delle novelle meno conosciute di Verga, “Tentazione!”, presenta il tema dello stupro e quindi un femminicidio. La violenza sessuale nell’Ottocento, non doveva essere trattata dalla letteratura, ma egli era lo scrittore della Verità e in quanto tale, non poteva tralasciare questo argomento.
Nell’opera, non vi è alcuna condanna morale da parte dell’autore. Questi voleva invece sottolineare come la violenza non fosse prerogativa delle menti predisposte al crimine, ma riguardasse chiunque.
I protagonisti sono tre ragazzi normali, che si recano a una festa serale a Vaprio, nei pressi di Milano. Lo stupro avviene su una strada buia e silenziosa, che i tre prendono come scorciatoia per tornare a casa. La vittima è una contadina, della quale lo scrittore non accenna all’abbigliamento o alla bellezza fisica, poiché la donna è considerata in ogni caso una tentazione disturbante, per il semplice fatto di essere donna. Verga si fa così portatore dell’idea misogina della pericolosità della creatura femminile.

La deresponsabilizzazione dell’autore dello stupro

La novella è un racconto-confessione del trauma subito da chi compie il femminicidio: il narratore diventa interno e il suo punto di vista coincide con quello di uno dei tre ragazzi protagonisti. L’autore del misfatto, non riesce a capire come sia successo e gli pare d’impazzire. E’ cosciente del fatto che non esista una causa evidente. In tal modo viene fuori la concezione della violenza in Verga, come eccesso di passione istintiva, una sterzata improvvisa che riporta l’individuo a comportamenti primitivi. Sottolinea il carattere inconsapevole dell’abuso e lo stupro diventa la forza demoniaca che rompe l’equilibrio della ragione.

Vedi

La violenza di gruppo

I tre protagonisti, non solo compiono violenza carnale sulla donna, ma poi la uccidono e ne tagliano la testa, per riuscire a nascondere il corpo in una fossa. La violenza di gruppo annulla ogni responsabilità individuale. Verga mette in risalto come in branco sia facile rendersi autori di azioni efferate,  per poi trovare protezione nella potenza e nella deresponsabilità del gruppo.

Visione patriarcale e maschilista

Oltre a condannare la vittima, che tenta i ragazzi con la sua presenza nella notte, Verga concorda con l’impunità dell’atto, considerato puro divertimento sessuale a scapito di un essere debole come la donna.

Il femminicidio come atto di amore

Lo scrittore francese Stendhal, nel suo romanzo “Il rosso e il nero”, presenta invece la nobilitazione dell’uomo che “per amore” uccide la donna. L’opera ha carattere psicologico ed è il frutto della lettura di uno dei fatti di cronaca riportati ne “La gazzetta dei Tribunali”. Il femminicidio avviene ai danni della Signora de Renal, per mano di Julien Sorel, poi decapitato. Egli è precettore presso la casa de Renal e ha una relazione extra coniugale con la donna. Il marito di lei, viene informato dell’adulterio tramite una lettera a anonima, a seguito della quale Julien parte per Besançon ed entra in seminario.
Julien inizia così una storia con Mathilde, figlia del marchese che lo ha assunto come segretario. Ma la signora de Renal s’intromette tra i due innamorati, inviando una lettera al padre della fanciulla,  per screditare l’uomo agli occhi del futuro suocero . Julien, vedendo svanire il sogno di un amore, raggiunge la signora de Renal e la ferisce con un colpo di pistola. Viene per questo ghigliottinato e ottiene il perdono della donna aggredita, che legge nel gesto incauto e folle, un atto di amore. La stessa muore di disperazione pochi giorni dopo. La devozione femminile verso l’uomo, arriva anche da parte di Mathilde, che ne recupera la testa e prima di seppellirla, la bacia.

Donna-intellettuale o donna-sposa?

La scrittrice inglese Virginia Woolf, è autrice di un celebre saggio del 1929, intitolato “Una stanza tutta per sé” (“A room of one’s own”). Lo scopo è rivendicare la possibilità per la donna di essere ammessa alla cultura, fino a quel momento riservata solo all’universo maschile.
L’opera è ambientata presso l’università: la protagonista parla nel college di Oxbridge. Emblematica è la scelta del luogo, visto che era l’ambiente principe dell’esclusione femminile. La narrazione è condotta da questa protagonista anonima, che non è Virginia Woolf, ma la donna con la “D” maiuscola, quella che ha vissuto nel silenzio per secoli. Se non esiste un muro su cui misurare le gesta della donna, è perché questa è stata esclusa dalla cultura e dalla vita sociale. Secondo l’analisi della scrittrice, in parte la colpa è anche delle donne, troppo occupate a fare le madri e a dedicarsi alle attività domestiche. Non bisogna invece arrendersi al ruolo di madre e una donna deve avere dei soldi e una stanza per sé, se vuole fare la scrittrice.
Il tema viene poi approfondito con il personaggio fittizio di Judith, che Virginia Woolf  inventa  essere la sorella di Shakespeare, la quale vuole fare la scrittrice. La donna si trova quindi davanti a un bivio: fare la scrittrice, per poi essere etichettata come folle, oppure arrendersi al volere del padre e sposarsi. Alla fine Judith avrà una gravidanza indesiderata e si suiciderà. Virginia Woolf sottolinea quanto sia difficile per la donna staccarsi dal modello patriarcale.

Quel tarlo mentale chiamato gelosia

Molto spesso il movente del femminicidio, è la gelosia morbosa. Già Shakespeare, aveva individuato la centralità di questa emozione, che se non controllata, può degenerare e causare veri drammi. In una delle sue tragedie più famose, “Otello”(“The Tragedy of Othello, the Moor of Venice”), composta nel 1603, il poeta inglese presenta la figura dell’uomo innamorato, che assalito da una cieca gelosia, diventa l’assassino della donna amata.
L’autore del delitto Otello, è un moro al servizio della Repubblica veneta e al comando dell’esercito contro i Turchi, nell’isola di Cipro. Parte da Venezia con il suo luogotenente Cassio, la donna che aveva sposato di nascosto, cioè Desdemona, Iago e la consorte Emilia. L’invidia provata da Iago per Cassio, lo porta ad attuare un piano diabolico, con lo scopo di allontanare il luogotenente. Iago fa arrivare un fazzoletto di Desdemona a Cassio, per persuadere Otello circa il tradimento della moglie. Quest’ultimo colto da una gelosia incontrollata, uccide Desdemona nel letto nuziale, soffocandola. Quando Emilia, da sempre a conoscenza della sadica invenzione del marito, rivela la verità, viene uccisa dallo stesso. Dopo la sconvolgente notizia di Emilia, Otello, preso dal rimorso si uccide, Iago viene torturato e Cassio prende il posto di Otello nell’esercito veneziano.

Shakespeare e i drammi della società moderna

Shakespeare aveva intuito temi di grande attualità. Nella tragedia ritroviamo la manipolazione di Iago ai danni di Otello. Vi è poi l’insopportabile senso d’inferiorità degli uomini verso la donna, in questo caso rappresentata da Desdemona. E infine ricorre il tema della gelosia folle, capace di trasformare l’innamorato in assassino. Tale emozione viene presentata come una forza oscura, insita in chi la prova, indipendentemente dai comportamenti della compagna.

Conclusioni

Da questo breve excursus letterario, appare evidente come il femminicidio sia anche un fenomeno culturale. Si tratta di un pubblico intriso di una concezione dell’amore, basata sulla sofferenza e la rinuncia da parte della donna.

Il ruolo passivo delle donne

Comprendere il motivo per cui la violenza sulle donne sia così difficile da combattere, significa analizzare anche l’aspetto giuridico e  culturale. Se per anni il sistema legislativo è stato dalla parte degli uomini e la letteratura ha presentato ogni forma di femminicidio, come una faccia dell’amore, diventa facile capire l’arrendevolezza delle creature femminili davanti agli abusi.

Una nuova lettura delle opere letterarie

Pertanto sarebbe utile nelle scuole, spiegare le opere letterarie, partendo da un’educazione di base che insegni a individuare il fenomeno del femminicidio. Solamente in questo modo, diventa possibile staccarsi da alcuni modelli ed esempi, che se emulati, rischiano di continuare a radicare il tragico meccanismo.

L’amore è figlio della Libertà

Educare all’amore significa creare una società lontana dalla violenza sulle donne. Perché l’amore non è folle gelosia, non si nutre di rinunce e sofferenze, ma arriva per migliorarci. L’amore porta solo felicità. Non ti chiede di essere diversa, ma si alimenta e cresce attraverso le tue passioni. Chi ti ama, non ti costringerebbe mai a fare la donna di casa, ma asseconda i tuoi sogni. L’amore equivale al rispetto ed è figlio della Libertà.

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