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Naufragio per la Lazio contro l’Atalanta

Naufragio in casa Lazio, che si allontana dal quarto posto e perde contro l’Atalanta. Nello scontro diretto con i bergamaschi, gli undici di Sarri si consegnano all’avversario. Biancocelesti senza idee e personalità, ma soprattutto ancora senza mai tirare in porta. Un digiuno di gol, che va avanti da inizio stagione e ormai sembra essere diventato il vero problema di questa squadra. Appena 25 le reti messe a segno in 22 partite. Da tempo l’allenatore toscano e gli stessi calciatori riconoscono che si fa fatica a riempire l’aerea. Ma qual è la causa di questa ristagnante situazione?

Clicca qui https://www.violenzadonne.com/la-lazio-si-arrende-allinter-e-rinuncia-alla-supercoppa-italiana/

Una formula che non funziona più

La Lazio sembra la brutta copia della squadra della scorsa stagione, che divertiva e segnava. Cosa non va in questa formula, che non funziona più? Il gioco di Sarri si è fatto prevedibile e il naufragio assicurato. Ma questa è una costante nel calcio: l’avversario ti studia e si adatta alle caratteristiche di chi ha di fronte. Perché il Comandante non fa la stessa cosa? La sconfitta contro l’Inter in campionato e nella Supercoppa Italiana, il pareggio con il Napoli e ora i tre punti, lasciati a Bergamo, hanno messo in evidenza la sofferenza della Lazio nell’affrontare un centrocampo a cinque. Sempre lo stesso copione: basta bloccare i biancocelesti sulle fasce e il gioco è fatto. Ma davvero la responsabilità è solo dell’allenatore?

Non essere migliorabili” significa anche essere prevedibili

La Lazio è l’unico club di serie A a non avere fatto acquisti nel calciomercato di gennaio. Le dichiarazioni del Presidente Lotito sono state chiare : “la squadra non è migliorabile”. Il guaio, però, è quanto sia divenuta prevedibile. L’innesto di un centrocampista e un esterno di valore avrebbe portato quella sferzata di novità, che forse manca agli undici di Sarri. Il calciomercato serve proprio a questo: colmare lacune e fornire nuovo carburante al gruppo. La sensazione che si ha, guardando la Lazio giocare, è l’assenza di fantasia nella costruzione delle azioni. Manca quel pizzico di imprevedibilità , che solo un campione può dare.

Per saperne di più, clicca qui https://www.tuttomercatoweb.com/serie-a/enrico-caccia-tuo-padre-e-sarri-il-tuo-schiavetto-a-formello-duri-attacchi-alla-lazio

Che fine hanno fatto i trascinatori della Lazio?

Luis Alberto, il Mago, ha perso la sua bacchetta magica. Il genio di Anderson è stato più una lampada spenta che accesa. Zaccagni ha affrontato una stagione con una serie di infortuni, uno dietro l’altro. Immobile, come un re leone, non ha mai lasciato il trono, ma tuttavia resta evidente la sua mancata forma fisica e psicologica. Senza l’aiuto dei suoi marinai migliori, ecco il naufragio.

Conclusioni

Se quella ventata di fantasia non è arrivata dall’acquisto di calciatori di spessore, resta solo all’allenatore l’arduo compito di rinnovare il gioco con gli atleti a disposizione. Che poi la soluzione sia cambiare modulo o comunque lasciare i giocatori più liberi di esprimersi sul campo, questa decisione spetta solo a Sarri. Nessun Comandante lascerebbe naufragare così la sua nave, proverebbe comunque a cambiare qualcosa. Anche se l’imbarcazione è stata progettata male e qualche marinaio pensa più a scappare, che a risolvere. Insomma, quando si affonda, resta più semplice fuggire e scaricare le colpe agli altri. Ma questa nave ha una storia di 124 anni, si chiama “S.S. Lazio” ed è l’orgoglio di un popolo, che merita rispetto.

Leggi qui https://www.gazzetta.it/Calcio/Serie-A/Atalanta/04-02-2024/atalanta-lazio-3-1-gol-pasalic-doppietta-de-ketelaere-immobile.shtml

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La Lazio si arrende all’Inter e rinuncia alla Supercoppa Italiana

Dalle stelle alle tenebre

Sono bastati novanta minuti alla Lazio per passare dalle stelle alle tenebre. Dopo le quattro vittorie consecutive in campionato, i biancocelesti si sono arresi all’Inter di Inzaghi, senza entrare mai in partita. Una squadra impalpabile, senza personalità, né idee. Solo un atteggiamento psicologico o un problema tattico?

L’Inter ha vinto a mani basse

Gli undici di Sarri hanno sofferto la superiorità numerica dei neroazzurri a centrocampo e in particolar modo il pressing alto degli esterni. Del fuoco di Felipe Anderson solo una flebile fiammella e Pedro ancora troppo nervoso in campo, al di sotto di ogni aspettativa. La superiorità dell’Inter è evidente, ma lo stato di grazia con il quale ha condotto la gara è l’effetto di una Lazio confusa e rassegnata in partenza.

La Lazio può competere con le big?

Certamente, hanno avuto il loro peso anche le dichiarazioni prepartita di mister Sarri, dalle quali è trapelato quasi un disinteresse per la Supercoppa Italiana. O più semplicemente, il tecnico toscano è stato consapevole fin da subito che la sua squadra non avrebbe potuto giocarsela con le big: Inter, Juve e Milan. Se così fosse, spetterebbe alla Società mettere in atto un mercato all’altezza delle competizioni. Il club capitolino arriva a un passo dal salto e poi ricade giù. Continua ad affacciarsi a orizzonti troppo lontani, senza mai esserne protagonista.

The show must go on

Si tratta di una questione di obiettivi, ammesso che a monte vi siano. Restano ancora in ballo gli ottavi di finale in Champions contro il Bayern Monaco e la semifinale di Coppa Italia contro la Juventus. Due occasioni, almeno, per provare a vincere o solo due gradini per carambolare ancora più in basso e tornare a sperare nel quarto posto in campionato? “The show must go on” cantava il grande Freddie Mercury, ma a questo “spettacolo”, che di spettacolare ha ben poco, assistiamo da ormai quasi venti anni.

L’importanza di tornare a sognare

Il popolo laziale merita di tornare a sognare: alcuni hanno smesso da tempo, altri ci provano ancora e vengono puntualmente delusi. Possiamo solo augurarci che l’aquila torni a volare sulle vette più alte, regina di quello spazio infinito tra cielo e terra.

Leggi qui https://www.gazzetta.it/Calcio/Serie-A/Inter/19-01-2024/inter-lazio-semifinale-supercoppa-italiana-thuram-calhanoglu.shtml

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La Lazio a un passo dalla zona Champions

Sembrava così lontana la Champions, un mese fa, quando la Lazio naufragava a metà classifica. Ora è lì, a un passo dal quarto posto. In silenzio, senza avere un gioco capace di spettacolarizzare come la scorsa stagione, ma certamente pragmatico e risolutivo. Per i biancocelesti sono ancora aperte le danze su tutte le competizioni: quarti di finale in Champions, semifinale di Coppa Italia e la più vicina Supercoppa Italiana contro l’Inter. Un bottino che fa gola alla squadra di Sarri, così umilmente ambiziosa da voler andare fino in fondo su ogni fronte.

Una scalata silenziosa in campionato: quattro vittorie consecutive con pochi gol, ma svariati marcatori. Segno evidente, questo, che non esiste più un calciatore imprescindibile per il Comandante, ma ciascuno può essere al contempo sostituibile e degno di nota. Meno individualità equivale anche a maggiore libertà e spensieratezza sulla costruzione della manovra. Quando non bastano le volate di Isaksen verso la porta, entra in gioco la saggezza tattica di Pedro. Insomma, c’è sempre una fiamma, pronta ad accendere la macchina di Mau, con Anderson disposto a sacrificarsi sulla fascia per recuperare palloni e pronto all’occorrenza come falso nueve. Gli undici di Sarri funzionano anche senza una punta vera e non preoccupa più la non piena disponibilità di Ciro, quest’anno mai in piena forma fisica.

Leggi qui https://www.ilmessaggero.it/sport/ss_lazio/lazio_lecce_felipe_anderson_serie_a-7871425.html

Un gioco che coinvolge poco, ma che arriva dove vuole arrivare, sempre con pochi tiri in porta. I biancocelesti sfiancano gli avversari con un possesso palla costante, aspettano che il pressing cali e poi colpiscono con il gol. Una manovra talvolta lenta e macchinosa, farcita di pazienza, come quella che ha dimostrato di avere il Mister nell’attendere l’exploit dei nuovi arrivati.

Adesso gli occhi dell’aquila sono puntati alla sfida contro l’Inter, fissata il 19 gennaio alle ore 20. Un’opportunità per continuare il volo anche sopra il continente asiatico.

Vai all’articolo https://www.violenzadonne.com/ancora-giallorossi-dopo-la-vittoria-al-derby-di-coppa-italia-e-la-volta-del-lecce-per-la-lazio/

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Ancora giallorossi: dopo la vittoria al derby di Coppa Italia, è la volta del Lecce per la Lazio

Ancora c’è aria di festa in casa Lazio, dopo la vittoria al derby di Coppa Italia contro la Roma, con la quale la squadra di Sarri si è assicurata il passaggio in semifinale. Ma sullo sfondo di nuovo giallorossi: questa volta è il Lecce di D’Aversa, che proverà a insidiare in campionato i biancocelesti, proprio come già ha fatto alla prima di andata. Mantenere alta la concentrazione per fare l’ultimo passo verso la zona Champions: questa la prerogativa del team capitolino, dopo le ultime tre vittorie consecutive.

Sembra ormai lontano il gioco ristagnante e senza idee, che caratterizzava la Lazio fino a un mese fa. La squadra ha ritrovato compattezza, grinta e velocità. Mister Sarri dal suo canto può tirare un sospiro di sollievo e sentirsi rassicurato dal fatto di poter contare su una rosa ampia e competitiva. Finora, tutti i giocatori si sono dimostrati all’altezza, scardinando le vecchie certezze di Mau sui senatori e spazzando via i dubbi sui nuovi arrivati.

Le assenze di pilastri come Immobile e Luis Alberto non fanno più tremare: gli esterni, Anderson e Zaccagni hanno ritrovato assist e fiuto del gol; Castellanos ha dimostrato di poter essere il jolly per sfiancare le difese avversarie e permettere ai compagni di ripartire sulle fasce. C’è l’imbarazzo di scelta anche circa i terzini: Pellegrini, ogni volta che è chiamato in causa, non fa rimpiangere la spinta e le azioni propositive di Lazzari. Persino il terzo portiere Mandas è stato il degno sostituto di Provedel.

Leggi qui su Mandas https://www.cittaceleste.it/news/lazio-mandas-allenatore-detto-preso/

Il centrocampo fa il suo, anche senza le illuminazioni del Mago e il Comandante ha l’imbarazzo della scelta, nonostante un Kamada ancora non pienamente ritrovato. Rovella è, in cabina di regia, il mediano che dà armonia alla manovra: come un direttore di orchestra, conferisce equilibrio e intesa tra il reparto offensivo e quello difensivo. Cataldi e Vecino aggiungono fisicità e tecnica nella fase di interdizione.

Non avere più titolari inamovibili ha portato una ventata di sicurezza e serenità, che non va assolutamente persa contro i giallorossi di D’Aversa. C’è poi la partenza per Riad con la Supercoppa Italiana e vincere contro il Lecce significherebbe arrivare in Arabia con motivazione e morale più alti.

Clicca qui https://www.violenzadonne.com/un-nuovo-volto-del-sito/

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Il sito ha un nuovo volto

Novità per il sito: oltre alla violenza, tratterà argomenti relativi ai nostri amici a quattro zampe e alla moda. Tutorial, foto e video degli outfit donna più cool del momento. Tenetevi pronti!

Cari lettori, vi aggiorniamo che il nostro sito web avrà un nuovo volto. Ampliare gli orizzonti significa stare al passo con i tempi. La violenza sulle donne ha come matrice il rifiuto per la donna, in quanto donna. Lo scopo dei soprusi è quello di spegnere la luce femminile. Per questo motivo, rinascere significa brillare ancora di più.

Storia del sito

Nato nel 2018 su iniziativa dell’amministratrice unica Ambra Sansolini, il sito ha sempre e solo trattato di argomenti relativi alla violenza. Lo scopo era quello di offrire alle vittime un rifugio sicuro, un supporto morale nell’ardua lotta contro i soprusi.

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Novità in arrivo: la violenza è solo una fase della vita

Dopo cinque anni, è giunto il momento di dare un nuovo volto al sito. Tutto ciò per offrire un messaggio importante: la violenza resta solo una fase della vita di alcune donne. È un doloroso passaggio, che può condurre verso orizzonti nuovi e luminosi.

Di cosa tratterà, oltre la violenza?

Gli argomenti, che verranno trattati nel sito, oltre la violenza, riguarderanno il calcio e in particolar modo la squadra di serie A “S.S.Lazio”. Pertanto, troverete aggiornamenti, commenti e informazioni sulle partite.

Il giornalismo sportivo è da sempre un ambiente professionale più maschile che femminile, dove la donna viene spesso relegata al ruolo di “abbellimento” o accessorio ornamentale. Non è così, ma questo deve essere dimostrato soprattutto dalle donne stesse con serietà e professionalità.

Puoi seguire foto e video sul profilo Instagram e TikTok

https://instagram.com/ambra_sansolini?igshid=YTQwZjQ0NmI0OA==

https://www.tiktok.com/@ambrasansolini?_t=8iyBCVpHHdZ&_r=1

“Essere donne è un viaggio meraviglioso. Uno splendido volo, che inevitabilmente comporta cadute e sofferenze. Poiché, in fondo, non esiste rosa senza spine.” (Ambra Sansolini)

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Il ruolo degli animali domestici, dopo la violenza

La violenza cambia, completamente, la vita di chi l’ha subita. In che modo? Cosa c’è dopo l’oscuro tunnel? Gli animali domestici possono aiutare a sanare il trauma? Naturalmente, porsi questa domanda significa essere comunque tra le fortunate: quelle che ce l’hanno fatta. Sono riuscite a liberarsi dal carnefice e possono iniziare a sognare una nuova vita.

Eppure, lo scarto tra sogno e realtà è sempre incisivo. La rinascita è complicata e necessita di un duro lavoro su sé stesse. Nei miei articoli ho sempre sottolineato il ruolo attivo della vittima, non come soggetto inerme al quale è capitato il misfatto. Occorre chiedersi, invece, il motivo per cui sia accaduto e guardare in faccia le proprie fragilità.

La psicoterapia resta la soluzione migliore, ma sempre accompagnata da tanta volontà di guarire. Quali sono le ferite da sanare? La più profonda, quella che continuerà a sanguinare a lungo, anche a distanza di tempo dai soprusi, è la fiducia. Fiducia in sé stesse e negli altri.

Sarà normale dubitare di tutti, darsi colpe che in fondo non abbiamo. Così come accadrà di avere paura di amare. E invece è proprio l’amore la migliore cura. Ma non bisogna forzare le cose, accelerando i tempi. Occorre, prima di tutto, imparare ad amarsi, prima di amare ancora.

Allora, spazio alle proprie passioni, a ciò che ci fa sentire vive. Nella mia personale esperienza, sono stati gli animali domestici a impartire la difficile lezione della fiducia. Cani e gatti si fidano spontaneamente degli esseri umani, non si chiedono come andrà a finire. Semplicemente, vivono il presente e non compiono mai del male per necessità di ferire.

Pertanto, nei prossimi articoli tratteremo anche questo argomento. L’appena passata pandemia, che ha colpito il mondo intero, è stata accompagnata da una crescita esponenziale di animali domestici all’interno delle famiglie. Hanno aiutato i loro proprietari ad affrontare gli stati di ansia e isolamento, imposti dall’emergenza sanitaria.

Purtroppo, alle copiose adozioni sono seguiti gli innumerevoli abbandoni. Finita la pandemia, in molti si sono disfatti dei loro amici a quattro zampe, come fossero medicine scadute.

https://www.ilmessaggero.it/animali/animali_abbandoni_dopo_pandemia_cani_gatti_cosa_succede-7036213.html

Un animale è per sempre. Con i nostri pelosi si instaura un vero e proprio rapporto d’amore. Hanno le capacità nascoste e silenziose per curare i nostri cuori affranti, ma non smettono mai di insegnarci qualcosa di nobile e prezioso, anche quando tutto sembra andare meglio.

Dopo la violenza, ci sono loro: dolci speranze in un mondo, troppo spesso marcio. Occhi puri, attraverso i quali tornare a guardarsi attorno. Fibre elastiche di amore, vivono di gesti caritatevoli, senza neppure sapere che è sempre di più ciò che elargiscono loro.

Leggi questi versi https://www.violenzadonne.com/ti-auguro-te-stessa/

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Novità in arrivo

Quali novità in arrivo a breve termine? Durante il fine settimana del 29-30 ottobre 2022, sarò presente alla seconda edizione del BUKRomance, Festival del Romance, promosso dall’Agenzia Letteraria Tralerighe, che si terrà a Roma presso gli spazi espositivi del Centro Commerciale AURA in Via di Valle Aurelia 30. Con l’occasione potrete acquistare i miei libri, “Manuale di sopravvivenza” e “Su ali di farfalla”. E ancora interviste, presentazioni ed eventi firma copie: un modo per affrontare, insieme, temi come la violenza sulle donne, la manipolazione psicologica e tanto altro.

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Ti auguro te stessa

Non ti auguro di trovare l’amore

ma te stessa, perché è solo da quel momento

che non accetterai più alcuna violenza.

Non ti auguro di crescere in fretta,

ma di aggiungere ai tuoi anni la fanciullezza:

sarà la bambina dentro di te a difenderti

sempre, in ogni evenienza.

Avevi messo tra i sogni al primo posto

la famiglia, poi ti sei scoperta

completa anche senza.

Non guardare alle ferite passate,

ricorda invece l’amore di cui sei stata capace.

E ogni volta che tornerà la paura

dovrai combatterla con accettazione e cura.

Capiterà che chiuderai il tuo cuore:

non forzarlo e naturalmente si aprirà,

se è amore.

Ti auguro di passare notti insonni per la tua passione,

non per un uomo e la sua magica sparizione.

Ti auguro di cercare qualsiasi spiegazione,

ma non l’assurda giustificazione di chi non ti ha rispettata.

Ti auguro di essere sempre libera delle tue scelte,

grandi e piccole,

nei tuoi desideri più nascosti

e in quello che sceglierai di essere.

Lo sceglierai nel migliore dei modi,

perché sei già stata tutto ciò che non avresti voluto.

Ti auguro di uscire con i capelli spettinati

e senza trucco sul viso,

senza che qualcuno abbia spento il tuo sorriso.

Ti auguro abbracci veri, che riscaldano

l’anima e non la frantumano.

Un giorno lascerai quella casa e ti sentirai smarrita,

ma sarà l’inizio di una nuova vita.

Molte volte dirai che non puoi stare lontano da lui,

supererai quei momenti bui.

Della sua mano ricorderai le carezze

e non le atroci bruttezze di cui pure era in grado.

Allora urlerai contro il mondo intero

che non è stato affatto buono con te.

Imprecherai contro l’amore

e tutte le cose belle della vita

saranno invisibili ai tuoi occhi.

Ti auguro quell’oscurità, perché è da lì

che entrerà il filo di luce vera da dove ricomincerai.

Ti auguro di perderti, di annegare e poi ritrovarti.

Ti auguro di rinascere.

E non sarà facile.

Sarà più faticoso della prima volta che sei venuta al mondo,

ora con quella consapevolezza che ti schiaccia come un macigno.

Ti auguro sempre il coraggio di lottare

anche quando ti sembrerà tutto vano e inutile.

Ti auguro di poterti dare il giusto valore

e agli altri l’onore di starti vicino.

Ti auguro la fiducia:

questa sarà per te la lezione più difficile da imparare.

Ti auguro di essere fiera e ribelle,

come nessuna principessa delle favole è mai potuta essere.

Ti auguro la grinta di reagire per i tuoi figli

e capirai che una mamma serena e completa

non deve essere necessariamente accompagnata.

Ti auguro di scoprire che l’amore vero ha molteplici sfumature

e quello tra uomo e donna è solo una parte infinitesimale.

Ti auguro più verità e meno scuse,

responsabilità e non colpe.

Ti auguro di mantenere intatta la tua innata dolcezza

e ancora la determinazione di batterti per la giustizia.

Ti auguro il sogno di un mondo migliore,

dove sia punita la violenza e il suo autore.

Ti auguro di vedere la meraviglia che sei oggi

con quelle cicatrici e il cuore rattoppato.

Ti auguro di amarti più di quanto hai amato

chi non meritava il tuo cuore:

e sarebbe davvero tanto.

Ambra Sansolini

Leggi anche “Lettera alle donne vittime di violenza”

Approfondisci notizie sulla giornata mondiale contro la violenza sulle donne

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Un narcisista in famiglia: alla ricerca dell’armonia perduta

La famiglia disfunzionale: quando un genitore è narcisista.

Purtroppo, quando all’interno del nucleo familiare è presente una personalità manipolatoria o peggio ancora narcisista, gli equilibri sono appesi a un filo. Si parla infatti di famiglia disfunzionale.

La situazione però cambia notevolmente a seconda del ruolo che ricopre il soggetto patologico. Nel caso in cui è la madre, correre ai ripari è più complicato, poiché in psicologia la figura materna ha sempre un’influenza maggiore sullo sviluppo emotivo ed affettivo dei figli. Va sottolineato inoltre il fatto che qualora vi sia più di un figlio, sicuramente c’è il “bambino d’oro”, ovvero il prescelto da parte del genitore narcisista e purtroppo suo alleato nelle varie forme di prevaricazione e il “bambino capro espiatorio”. Quest’ultimo diventa lo sfogo delle frustrazioni appartenenti alla figura genitoriale abusante, una specie di “cestino emotivo” che raccoglie tutta la profonda tossicità della famiglia disfunzionale. Esistono solo due stelle fisse: il padre o la madre narcisista e il figlio d’oro.

Il doloroso gioco delle parti

In base a cosa viene assegnata la pesante etichetta di figlio d’oro e capro espiatorio? E soprattutto da chi proviene questa scelta assurda? A primo impatto, sembrerebbe naturale dire che tale decisione è frutto del caregiver, ma in verità risulta essere legata anche alle reazioni dei figli. Il capro espiatorio solitamente rappresenta quello che si ribella fin da subito alle carenze emotive di cui è portatore il genitore patologico. Quando poi viene catalogato come la “pecora nera della famiglia”, la sua ribellione accresce in maniera proporzionale ai torti subiti. Ma questo atteggiamento non fa che aumentare l’ostilità del genitore narcisista e si entra in una spirale dalla quale è veramente difficile uscire.

Apparentemente, potrebbe sembrare che sia il figlio capro espiatorio a pagare il prezzo più alto. In verità, ogni componente di un nucleo così mal strutturato, porta per tutta la vita il fardello di questi squilibri familiari.

Leggi anche https://lamenteemeravigliosa.it/famiglie-narcisiste-sofferenza/

Quali sono gli effetti di una famiglia disfunzionale?

Il figlio capro espiatorio, distaccandosi profondamente dal modello genitoriale, diventa portatore di tutto ciò che manca nel padre o nella madre. Sviluppa così una profonda empatia e una propensione al senso di colpa. Un bambino i cui bisogni emotivi vengono ignorati, si ritiene fin da subito immeritevole di amore. Purtroppo, non può disporre dei mezzi atti a capire che è il genitore a essere in difetto e quindi tende a colpevolizzarsi della disastrosa situazione che vive.

Il figlio d’oro, invece, non può essere in grado di sviluppare una sfera affettiva in piena autonomia e continua a vivere in simbiosi con il genitore narcisista. La sua visione della vita risulta completamente distorta, fatta di alleanze e complotti, di vincitori e vinti. A sua volta, sarà un padre o una madre abusante e riterrà i suoi stessi figli un’estensione di sé.

Come recuperare l’armonia perduta?

Un saggio detto recita di non cercare la felicità là dove è stata perduta. Pertanto, risulta impossibile recuperare una piena armonia all’interno della famiglia disfunzionale. Il percorso di guarigione da intraprendere va fatto autonomamente, magari con l’aiuto di uno psicoterapeuta. Il guaio è che per la stessa patologia di cui è affetto, il genitore narcisista non accetterà in alcun modo di guardarsi dentro e curarsi. Stessa cosa il figlio d’oro, soprattutto finché potrà avere vicino il suo potente alleato, madre o padre che sia.

Diversa è la questione del figlio capro espiatorio, l’unico che può guardare in faccia questo atroce dolore. Tuttavia, deve restare consapevole del fatto che non riuscirà mai a cambiare una famiglia disfunzionale. Solitamente, questi figli da adulti scelgono di tenere le distanze dai familiari abusanti o comunque di avere il minimo dei contatti possibili.

Vai all’articolo https://www.violenzadonne.com/le-mollettine-rosa-lettera-di-una-figlia-alla-madre-narcisista/

Quali sono i danni a lungo termine sul bambino capro espiatorio?

Che ruolo ha il genitore non abusante?

Troverete le risposte nei prossimi articoli.

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La vertigine del silenzio

Il cambiamento della realtà

Nessuno avrebbe mai pensato che d’un tratto si fermasse tutto. Nell’era della globalizzazione, in cui ogni contatto è realizzabile e anche il più lontano sembra vicino, ti ritrovi invece isolato anche dai tuoi familiari.

  Ogni giorno inizia con la stessa cadenza nel silenzio assordante dell’immobilità. E così, ciò che prima sembrava usuale e persino normale diventa un fardello a tratti insostenibile: i social non bastano più. Inizia a mancarti la chiacchierata di persona, l’abbraccio e la stretta di mano, che troppo spesso prima barattavi con una chat o un like. Ti rendi conto di quante volte per pigrizia  o per l’opportunità concessa dai mezzi di comunicazione, hai scelto di fare una videochiamata anziché andare a trovare qualcuno. Sale la nostalgia per il saluto consueto al fornaio o alla commessa del negozio al quale sei solito andare, perché quelle stesse persone le vedi oggi nascoste dietro a una maschera, che ripara e protegge dai virus e dai batteri, ma cela male la paura. Una paura che diventa tangibile, quando devi chiedere dove si trova un articolo e la reazione spontanea è indietreggiare davanti al tuo interlocutore.

La solitudine del silenzio

Quante volte ci siamo lamentati del traffico, dei ristoranti pieni o delle spiagge prese d’assalto, durante le prime domeniche primaverili. Ora davanti a noi si aprono strade vuote, accompagnate dalle serrande abbassate dei locali. Non ci sono più file perché un virus dalle dimensioni di una macromolecola ha deciso, ex abrupto, di porre un’insormontabile distanza tra gli esseri umani. Così, ci sentiamo tutti più soli e quella tecnologia, che aveva sostituito i rapporti interpersonali, sembra non riuscire a colmare uno spazio e un tempo infiniti.

 Il tempo della consapevolezza

 Eppure, mentre tutto si è fermato come la pausa obbligata di una melodia corale, l’uccellino inizia a cantare di buon mattino e nasce ancora quel primo fiore che avevamo dimenticato. La vita non si ferma, nonostante tutto. C’è un tempo che continua a scorrere anche in quarantena: è quello che possiamo sentire con l’anima. Il battito del cuore, forse accelerato per l’angoscia silente, ci ricorda che siamo vivi. Non è affatto semplice rinunciare alla libertà personale, la medesima che troppe volte abbiamo seppellito per una frenesia che ci ha fatto scordare di noi stessi e di chi avevamo vicino. E proprio oggi, che non possediamo più quel ventaglio ampio di scelte, vorremmo scegliere. Oggi più che mai riacquista valore decidere come impiegare il proprio tempo, fino a qualche giorno fa scippato da una quotidianità che correva all’impazzata verso non si sa bene cosa. Ecco il punto dolente della drammatica situazione che stiamo vivendo: affiorano le domande esistenziali, troppo a lungo soffocate da un caos che riempiva le nostre giornate, svuotandoci dentro. Il problema vero non è cosa posso fare in queste lunghe ore chiuso in casa, ma la missione che ho nella mia effimera esistenza. Tutto si trasforma in domanda, perché mentre si è interrotto un tempo a noi conosciuto e usuale, se n’è aperto uno nuovo: il tempo della consapevolezza. Non è la noia il reale ostacolo, ma la tremenda vertigine di guardarsi dentro. Si disegnano così nuovi confini, che solo apparentemente sono quelli imposti dal decreto legislativo del nostro Premier: si tratta, invece, di trovare collocazione in uno spazio e un tempo propri.

  Quando lo spazio e il tempo diventano infiniti

Lo spazio e il tempo sono le due entità che ha portato a galla questo stupido e infame virus. La distanza e la limitazione degli spostamenti hanno stravolto il nostro piccolo sistema di sopravvivenza, così come quell’ammasso di ore che abbiamo davanti a noi. Ci voleva un’aggressiva macromolecola per prendere coscienza del tempo che passa, perché quegli attimi che ora appaiono eterni, entreranno anch’essi in quell’enorme cassetto, chiamato passato. Doveva venire una pandemia per farci affiorare alla mente l’importanza delle persone anziane e il tangibile fatto che invecchiamo. Il temibile coronavirus ha spezzato l’apparenza e ci ha posto di fronte al nostro essere più autentico. E allora a nulla serve ostentare una perfezione che non esiste, in quanto siamo maledettamente e splendidamente umani. Forse solo ora ci sembrano istanti persi, quelli spesi a giudicare qualcuno di cui in fondo si conosce ben poco. In questo tragico momento storico temiamo per la salute dei nostri genitori e nonni, pilastri saldi di una società troppo fragile. Fragile perché lontana dal senso vero della vita, che è nelle piccole cose. Il virus ci ha messo di fronte alla debolezza non solo del corpo, ma dell’anima. E mentre le nostre membra possono cedere a causa di un’invasione virale sconosciuta, la nostra anima traballa in presenza dell’ignoto.

Analogie con la poetica leopardiana

La conoscenza è un altro elemento con cui facciamo i conti in questa realtà. E per quanto la nostra epoca possa conoscere tutto, c’è sempre qualcosa che sfugge al controllo umano. «Ahi ahi, ma conosciuto il mondo non cresce, anzi si scema, e assai più vasto l’etra sonante e l’alma terra e il mare al fanciullin, che non al saggio appare.» ( G. Leopardi “Ad Angelo Mai”). Sono questi i giorni del caro immaginar leopardiano, durante i quali puoi affacciarti dalla finestra e fantasticare su ciò che si nasconde dietro la siepe. Nessuna pandemia riesce a incatenare la mente e il pensiero. E allora è giunto anche il tempo di guardare con occhi nuovi un illustre poeta come Leopardi: genio, non perché divoratore di libri, ma grande anticipatore dei secoli futuri. I suoi versi sembrano essere stati scritti per ciò che stiamo vivendo. In molti potrebbero pensare che il sommo poeta sia legato a questi nefasti giorni per il pessimismo cosmico con il quale ormai viene etichettato da secoli. E invece voglio riallacciarmi alla poetica leopardiana per regalare a tutti una ventata di positività e coraggio. «[…]Ma sedendo e mirando, interminati/spazi di là da quella, e sovrumani/silenzi, e profondissima quiete/io nel pensier mi fingo; ove per poco/il cor non si spaura. […]» (“L’infinito”). Smarrimento. Il cuore del poeta si smarrisce davanti all’infinito, procurato da quella siepe che preclude lo sguardo e apre le porte all’immaginazione. Siamo smarriti anche noi, poiché le limitazioni di spazio e tempo che ci sono state imposte, hanno spalancato uno spazio e un tempo infiniti. E allora cosa dobbiamo fare davanti a questa sensazione di sconforto e paura? La risposta è nei versi conclusivi del canto: «[…] Così tra questa/immensità s’annega il pensier mio:/e il naufragar m’è dolce in questo mare.» Abbiamo perso l’identità, perché sono venute meno le coordinate spazio-temporali e quindi naufraghiamo nell’immensità, sprofondiamo. Ma possiamo salvarci da quel senso potente di paura, solamente se ognuno di noi accetta questo annullamento di sé come il più dolce degli abbandoni. Ecco la soluzione positiva e propositiva del genio romantico, fedele alla sua idea di piacere. Se la felicità, è sempre una felicità mancata per la presenza di uno spazio e un tempo tangibili, che ce la portano via, allora la felicità non è che la perdita di sé davanti all’infinito: infiniti spazio e tempo.

Il potere del ricordo

Corrono lenti e pesanti i giorni del ricordo: chi di noi non ha speso un po’ del suo tempo a pensare a come era la sua vita fino a qualche giorno fa? Solitamente, i momenti difficili sono quelli durante i quali ci aggrappiamo più forte a un passato felice. Solo quando sopraggiungono   eventi drammatici, usciamo per un attimo dalla nostra individualità per sentirci tutti parte del medesimo destino. In fondo, oggi, tutto ciò che avevamo prima ci sembra un’illusione, ormai caduta davanti alla verità. La malattia e dunque la fragilità del nostro corpo umano ci uniscono in una sofferenza corale, davanti alla quale non esiste alcuna distinzione di sesso, età o ceto sociale. «[…]Tu, pria che l’erbe inaridisse il verno,/da chiuso morbo combattuta e vinta,/perivi, o tenerella. E non vedevi/il fior degli anni tuoi; […]». Nella lirica “A Silvia” la musa ispiratrice di Leopardi muore in giovane età a causa di un “morbo”, che nello specifico era la tisi. «[…]Quale allor ci apparia/la vita umana e il fato!/Quando sovviemmi di cotanta speme,/un affetto mi preme /acerbo e sconsolato,/e tornami a doler di mia sventura./ O natura, o natura,/perché non rendi poi /quel che prometti allor? Perché di tanto/inganni i figli tuoi?[…]» Allo stesso modo ci sentiamo noi in tale avversità mondiale, chiusi nel dolore che ci procura la memoria delle speranze passate.

Il doloroso inganno

Ci trasciniamo in queste pesanti ore con la tremenda sensazione di aver ricevuto un profondo inganno. Ma da chi? Nella realtà che ci accomuna, sono state create varie tesi complottistiche. Ma che sia l’America, la Cina o non si sa quale assurdo potere a volere tutto questo, intanto l’unica cosa certa sono i limiti del nostro corpo di fronte a certi eventi naturali, persino in presenza di una subdola macromolecola. Tutto ciò perché è nella natura stessa dell’essere umano avere delle debolezze, che troppo spesso dimentichiamo. Anche il poeta si lascia andare a una serie di interrogativi, gli stessi che attanagliano la nostra mente: «[…]Questo è quel mondo? Questi/i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi,/onde cotanto ragionammo insieme?/Questa la sorte dell’umane genti?/All’apparir del vero/tu, misera, cadesti: e con la mano/la fredda morte ed una tomba ignuda/mostravi di lontano.» La memoria delle cose belle passate, messa a confronto con un presente funesto, incute un senso di angoscia e smarrimento,   ma anche di vago e indefinito. Si tratta dello stesso processo de “L’infinito”, questa volta inserito nella cornice del tempo: lasciare affiorare alla mente i ricordi, persino in un presente certo e oscuro, significa oltrepassare i limiti temporali e immergersi nell’eternità. Anche noi dovremmo oltrepassare la scadenza delle ore e dei minuti, nella quale siamo imprigionati, per tuffarci nel tempo interiore, che è infinito e non ha confini.

Leopardi ci regala così la certezza che un domani prossimo anche il ricordo di questo tremendo momento storico potrà essere gradito e dolce, perché alleggerito dai contorni indefiniti della memoria e in ogni caso testimonanza di come la vita vada sempre avanti, nonostante tutto. «[…]E pur mi giova/La ricordanza, e il noverar l’etate/Del mio dolore. Oh come grato occorre/Nel tempo giovanil, quando ancor lungo/La speme e breve ha la memoria il corso,/Il rimembrar delle passate cose,/Ancor che triste, e che l’affanno duri!» (“Alla luna”).

Quel mostro chiamato noia

Il fardello, avvertito in questi giorni di isolamento obbligato, è la noia. Tema anch’esso affrontato nella poetica leopardiana con il componimento “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”: «[…] Se sapessi parlare, allora io ti chiederei:/dimmi, perché ogni animale che riposa e/ozia è contento/e io, invece, se giaccio comodamente/sono assalito dalla noia?[…]» In questi versi, gli interrogativi dell’uomo moderno coincidono con un essere primitivo come il pastore e sono rivolti alla luna. Leopardi formula, infatti, una serie di domande esistenziali, forse le stesse che ci stiamo ponendo in questo periodo. Viene così fuori la netta differenza tra la condizione umana e quella animale, la prima caratterizzata dall’assenza di pace e riposo anche in uno stato di “ozio”: a cosa è dovuta questa intrinseca irrequietezza? Essa nasce dalla conoscenza, dalla memoria e dalla paura. «[…]O greggia mia che posi, oh te beata,/che la miseria tua, credo, non sai!/Quanta invidia ti porto!/non sol perché d’affanno/quasi libera vai;/ch’ogni stento, ogni danno,/ogni estremo timor subito scordi;/Ma più perché giammai tedio non provi. […]»

Una sofferenza che unisce

Quanti di noi, in queste tediose ore, sono stati attaccati ai telegiornali e a qualsiasi fonte di notizie? Quanto è cresciuto il dolore all’accrescere della conoscenza? Personalmente, ho provato una sana invidia davanti alla serenità degli animali. Ci sono stati attimi nei quali avrei preferito essere un gabbiano o persino un gatto di strada, libero di vagare e conoscere il vero, senza che questo sia filtrato da un’informzione troppo spesso incompleta e fallace. Ma anche questa illusione, come tutte le illusioni, non dura che un attimo. In fondo, gli esseri viventi del nostro pianeta sono sotto la stessa luna e quindi hanno il medesimo destino: «[…]O forse erra dal vero,/mirando all’altrui sorte, il mio pensiero:/Forse in qual forma, in quale/stato che sia, dentro covile o cuna,/è funesto a chi nasce il dì natale.»

Come un fiore nel deserto

C’è un filo invisibile che ci accomuna tutti ed è proprio la sofferenza. Allora in cosa dobbiamo trovare la forza di andare avanti? Da dove nasce ancora la speranza? Se sboccia un fiore nel deserto, tutto è possibile. Ecco che il pensiero leopardiano si chiude con la canzone “La ginestra, o il fiore del deserto”. Allora le pendici del Vesuvio, cantate nella lirica, diventano le punte della corona di questo temuto virus e ciascuno di noi può essere simbolicamente rappresentato da quella ginestra. «Qui sull’arida schiena/del formidabil monte/sterminator Vesevo,/la qual null’altro allegra arbor né fiore,/tuoi cespi solitari intorno spargi,/odorata ginestra,/contenta dei deserti.[…]» Quel fiore è la vita che si aggrappa alla vita anche a seguito di una catastrofe, è l’animo nobile che dobbiamo  tirare fuori in questa pandemia, senza aggiungere odio e rabbia all’atroce dolore. Il poeta ci viene in aiuto, suggerendo di guardare la verità e quindi dichiarare nemica solamente la natura, alleandoci gli uni con gli altri in una “social catena”. Basta un attimo per diventare piccoli come le formiche, schiacciate accidentalmente dal frutto che cade dall’albero. Pertanto, l’unica salvezza è piegarsi di fronte certi eventi drammatici, senza tuttavia smettere di resistere. Occorre adattarsi a certe realtà, come a questa che ci vede relegati in casa. La ginestra è la saggezza di riconoscere i propri limiti, non sprofondando all’apparire delle umane fragilità. Spuntano come fiori, nel deserto delle città italiane, cartelloni con arcobeleni e scritte “andrà tutto bene”.

Il coronavirus e quella violenza silente

Da più di due anni dedico la scrittura al delicato tema della violenza contro le donne. Pertanto, anche in questa tragica vicenda il mio pensiero vola verso le creature femminili che per far fronte all’emergenza mondiale sono costrette a stare in casa con il loro abusante. Mi chiedo continuamente cosa stiano vivendo i bambini, ingiustamente sottratti ai loro genitori e chiusi nelle case famiglia. I tribunali e l’intera macchina della giustizia si sono bloccati. Mi piace sperare che i Giudici e i Servizi sociali impieghino queste ore per riflettere sulle loro decisioni, prese freddamente dall’alto di un ruolo, ormai destrutturato e rimpicciolito da qualcosa di così grande come la pandemia. Mi auguro che la momentanea privazione della libertà personale possa cambiare qualcosa in chi finora l’ha arbitrariamente tolta agli altri.

È capitato spesso, in questi giorni, di accostare lo stalking che ho subìto anni fa alla recente condizione di isolamento. La prima differenza che ho riscontrato riguarda la modalità della solitudine: negli atti persecutori sai da chi difenderti, invece durante una pandemia, per quanto ti munisci di guanti e mascherina, non sai contro chi combatti. Manca il volto del persecutore, poiché è invisibile all’occhio umano, ma sai che c’è. Sei impossibilitato dal prevedere le mosse dell’aguzzino, in quanto le medesime non possono inquadrarsi in azioni reiterate. Il virus è legato all’imprevedibilità e arriva a farti vedere come nemico persino il magazziniere del supermercato o il vicino di casa. Per quanto lo stato di allerta sia comune alle due situazioni, ti accorgi che questa volta è più alto. Non sai dove guardarti, non basta più prestare attenzione a ciò che accade alle tue spalle. Contro chi o cosa ci stiamo difendendo? Perché è accaduto tutto questo? L’unica certezza è che si tratta di un maledetto virus aggressivo. Sempre una forma di violenza, ma silente e subdola. L’unica salvezza che ci viene proposta è di evitare il contatto con le altre persone. E allora stavolta posso asserire a piena voce che tu, coronavirus, sei peggio di un narcisista maligno. Per combattere non basta attuare il “no contact” nei tuoi confronti, perché ci costringi a stare lontani gli uni dagli altri. Non serve evitare di reagire alle provocazioni o fare la tecnica del “sasso grigio”: riusciresti a colpirci, anche se mostrassimo indifferenza alla tua presenza incombente. Non accusi apertamente, ma sei riuscito a farci sentire colpevoli di vivere. E quindi hai costretto tutti a giustificarsi, persino davanti alla necessità di acquistare del cibo. Scusa se respiriamo; ti chiediamo scusa, se ci piace stare all’aria aperta. Il tuo essere così camaleontico e mutabile nei vari organismi viventi lascia spazio al gaslighting: dubitiamo delle nostre stesse sensazioni corporee, ci sentiamo ammalati anche se non lo siamo, alcuni sono affetti dalla tua invasione e non presentano sintomi. Ci hai tolto ogni verità e certezza. La violenza psicologica alla quale hai sottoposto l’intera popolazione mondiale destabilizza e mina l’identità personale. Siamo confusi davanti a tanta soggiogazione e ormai persino dipendenti dalle tue sadiche mosse. Quanto gioisci nel vederci tutti attaccati alla TV a sentire i tuoi sviluppi? Non ho lasciato che il mio stato emotivo dipendesse dal narcisista maligno e ora dovrei accettare che sia legato a te?

Perdere tutto significa rinascere

Nella mia esperienza di violenza, ho provato sulla pelle cosa significa essere privati della propria libertà e quotidianità. Da allora so per certo che solo quando perdi tutto, puoi rinascere davvero. Quindi, nemico microscopico che oggi indossi la corona, sappi che da questi inermi bruchi, quali ci hai ridotto, nasceranno solo farfalle libere. Lepidotteri consapevoli delle loro ali e di quanto, forse, costi caro questo volo. Ma voleremo. E quando tutto ciò sarà finito, ci abbraceremo più forte, apprezzeremo tutte le piccole cose e saremo persone migliori.

“Sono quella che…”

Sono la ragazza dai mille sogni, quella che vedi passare per strada con lo sguardo basso, sono quella che grida al mondo la sua gioia di vivere. Sono la madre, la donna, la compagna, la sorella e la figlia; e poi la nipote, la cognata e la nuora. Sono la studentessa e la professionista. Quella dalla pelle bianca, nera, con i capelli biondo platino o le treccine africane. Sono colei che indossa abiti femminili, ma sono anche quella che è costretta ad andare in giro tutta coperta. Sono la tua vicina di casa, la tua cara amica, la collega di lavoro. Sono quella, che incroci al bar e vedi bere un caffè, immersa nei pensieri. Sono quella che tutti vedono giocare con il figlio e vive, costantemente, nella paura che glielo portino via. Sono quella che non immagineresti mai, perché le violenze non vengono compiute alla luce del giorno.

Mi hai incontrato per mano al mio compagno e hai pensato “caspita, quanto sono felici!”

Sono la moglie di quell’uomo bravo, che sai essere un buon padre e un grande lavoratore. Sono quella con la valigia a mano, perché tante volte ho provato ad andare via. Sono quella che ha creduto nella giustizia e spesso è salita sui gradini della Questura. Sono quella che tutti dicono di aiutare, ma che in fondo non è vista da nessuno. Sono la ragazza della fiaccolata in TV e quella di cui l’Italia ora sta parlando di più.

Sono quella sorridente, che nessuno penserebbe mai combattere contro un drago a sette teste. Sono colei che ha paura e poi colei che, con un filo di rossetto e le gambe tremanti, va avanti.

Sono l’immagine della speranza in un mondo migliore e purtroppo sono la prova che la realtà è un’altra. Sono la dipendente affettiva, la ragazza dolce e la donna ribelle, quella che tutti si chiedono “ma come ha fatto a stare con uno così?”

Sono un numero tra le innumerevoli pratiche dei tribunali e divento un nome, solo quando non esisto più. Sono colei che annusa ogni giorno l’odore acre della morte e ne esce sempre più innamorata della vita. Sono la femmina combattente, che ha imparato a ballare sotto la tempesta, restando pur sempre desiderosa solo di pace.

Sono una tra le tante, tra le donne che devono lottare per la libertà.

Sono quella che non è libera di lavorare, quella ostacolata negli studi e nell’indipendenza economica. Le mie orecchie possono sentire dire le peggiori umiliazioni, ma guai a proferirle a un uomo! Sono quella che la Giustizia italiana ha preferito fare passare dalla parte del torto, pur di non ammettere le violenze patite. Sono quella accusata di conflittualità genitoriale e quella che resta insanguinata a terra, perché se lascio l’uomo violento ho paura di perdere i miei figli.

Sono quella che ha chiuso da tempo la relazione e colei che, invece, continua a subire i maltrattamenti per non disintegrare la famiglia. Sono quella che è andata al fatidico ultimo appuntamento e quella che ha fatto mille denunce, tutte archiviate. Sono quella che ha provato a difendersi in ogni modo e quella che ha subito in silenzio. Sono quella del “perché non lo ha denunciato?” e la vittima con la prescrizione del reato. Sono quella che ormai ha paura di amare e quella il cui cuore ha ripreso a palpitare. Sono quella che vuole solamente una vita normale, ma per quel maledetto incontro deve ancora pagare.

Sono quella di cui tutti parlano oggi, eppure domani sarà ancora tutto uguale. Sono colei alla quale hanno dedicato una giornata mondiale, ma poi il sistema la costringe a subire in nome di uno stigma patriarcale.

Sono la lacrima che scende in silenzio, il tramonto rosso che illumina il mare d’inverno.

Sono quella luce che vedrai in fondo al tunnel, sono il respiro dei miei figli.

Sono il viaggio più bello, che ancora non ho fatto.

Sono la valigia con tutti i miei sogni dentro.

Sono quel grido di aiuto inascoltato e l’albero, che resta a terra ben piantato.

Sono il volo libero di un gabbiano e il ritorno al cielo lontano.

Sono il fiore più bello, strappato e  il suo odore, mai cancellato.

Sono il petalo rosso della rosa e la spina.

Sono la canzone d’amore e il battito del cuore.

Sono la storia di cui sentirai parlare, ti prego non mi dimenticare!

Sono un’altra, l’ennesima:

sono quello che non doveva mai più accadere.

Leggi l’introduzione del sito https://www.violenzadonne.com

In Italia, ogni 72 ore circa, viene uccisa una donna in ambito privato e familiare. Per saperne di più, clicca qui https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/11/22/sono-107-le-donne-uccise-da-inizio-anno-88-in-ambito-familiare-55-i-femminicidi-commessi-da-partner-o-ex/7361463

Gattini: quando la natura da sola non basta

Come prendersi cura dei gattini appena nati? Quali accortezze e attenzioni mettere in pratica? Per saperne di più, leggi l’articolo

Quali cure e attenzioni bisogna dare ai gattini, durante i primi giorni di vita?

Capita, spesso, di trovare gattini nati da poco. In questi casi, la differenza la fa la presenza o meno di mamma gatta. Pertanto, prima di portarli via dal posto in cui sono stati rinvenuti, bisogna accertarsi se veramente non possano contare più sulla vicinanza materna. Tutto ciò per via dell’allattamento, essenziale per la sopravvivenza e lo sviluppo dei piccoli, soprattutto nelle prime quattro settimane di vita. Ma la natura da sola non basta: perché mamma gatta produca latte di qualità e a sufficienza, deve essere nutrita abbondantemente. Cibo ricco di proteine e vitamine (come i prodotti “kitten”) è sempre consigliato.

La natura da sola non basta…

Per quanto si creda che la gatta farà tutto sola, ci sono rischi, che potrebbero presentarsi fin dal momento del parto: complicazioni nell’espulsione dei feti, perdite vaginali anomale etc. Inoltre, seppur raramente, può a accadere (principalmente nelle gatte primipare) che la mamma non liberi i feti dal cordone ombelicale e dalla placenta, mettendo seriamente in pericolo la salute dei neonati. Ancora, non è scontato che mamma gatta abbia sempre latte a sufficienza. Talvolta, può addirittura rifiutarsi di allattare (a causa di malattie, stress e altri fattori scatenanti).

Cosa fare in presenza di mamma gatta

Nel caso in cui ci sia la mamma, assicurarsi che questa mangi e controllare l’aumento ponderale dei gattini ogni giorno (dovrebbero aumentare in media 10 grammi). Prestare attenzione a un eventuale pianto continuo. Se tutto procede bene, dovrebbero mangiare e dormire. Durante la prima settimana di vita, troverete ancora attaccata una parte del cordone ombelicale. Lasciate che si secchi e cada da sola. Nel caso in cui, invece, mamma gatta non abbia già reciso con i denti il cordone, fate un taglio a minimo 2-3 centimetri dall’addome, onde evitare una futura ernia ombelicale.

E se non c’è la mamma: la situazione si fa più complicata

In questa sfortunata evenienza, la prima cosa da fare è tenere al caldo i gattini. Durante i primi giorni, l’ipotermia è in agguato. È conveniente metterli in una scatola con un plaid e una bottiglia di acqua calda, avvolta da un asciugamano. Un altro pericolo imminente potrebbe essere l’ipoglicemia. Se i gattini non hanno mangiato da ore, dategli una puntina di miele ciascuno. Va bene anche acqua e zucchero, da somministrare in due o tre gocce, tramite una siringa senza ago. Queste sono le prime attenzioni da avere. Solamente quando saranno caldi, idratati e in forze, potranno ricevere il latte.

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A questo punto, cosa dare da mangiare ai gattini?

Nelle prime settimane di vita, l’unico alimento per i cuccioli è il latte. In assenza di quello materno, il più adatto è il latte in polvere per gattini, che vendono nei negozi di animali o nelle farmacie. Va somministrato mediante l’apposito biberon. Quest’ultimo è preferibile rispetto alla siringa senza ago, poiché permette ai gattini una libera suzione. Il latte deve essere più o meno alla temperatura corporea dei cuccioli. Se non avete un termometro adatto, basta sentire una goccia di latte sull’interno del polso: dovrebbe essere tiepida.

La posizione dei gattini, durante la suzione

Nell’allattamento artificiale dei gattini, un dettaglio importante è la loro posizione, durante la suzione: occorre, più o meno, riproporre quella dell’allattamento materno. Pertanto, i piccoli vanno tenuti dritti e mai messi a pancia all’insù, con la testa sorretta dalle nostre dita e leggermente inclinata verso l’alto. Un altro accorgimento fondamentale è evitare di gettare il latte nella bocca del neonato, ma aspettare che sia il medesimo a succhiare spontaneamente. Tutte queste attenzioni sono necessarie per evitare un evento, che può essere loro fatale: la polmonite ab ingestis. Questa è dovuta all’ingestione del latte nelle vie respiratorie e la prognosi è infausta.

Quanto devono mangiare i gattini?

Il pasto va somministrato ogni due ore e la quantità di latte deve essere pari al 30% del loro peso corporeo. Terminato l’allattamento, si inizia con la pulizia, proprio come farebbe mamma gatta. I cuccioli vanno stimolati, affinché facciano i loro bisogni corporei. Si utilizza un panno carta umido da strofinare, delicatamente, sulle parti intime. E poi? È giunta l’ora del sonno.

Quando sono nati i gattini?

Se non abbiamo assistito alla nascita dei gattini, dobbiamo essere in grado di stabilirne, più o meno la data. Gli elementi da considerare sono: il cordone ombelicale, gli occhietti, la dentizione. Se presentano ancora parte del cordone ombelicale, sono nella prima settimana di vita. Se presentano gli occhi chiusi, hanno sicuramente meno di dieci giorni. I dentini, invece, iniziano ad apparire dopo circa quindici giorni: i primi sono gli incisivi. Seguono i canini, a circa 21 giorni.

Conclusione

Dopo tutte queste accortezze, non resta che godersi lo spettacolo della vita e aggiungere alle nostre cure tanto, tanto amore.

L’amore degli animali è la migliore terapia. Leggi qui

Parliamo di gattini: quali cure e accortezze mettere in pratici nei loro primi giorni di vita?

Esiste solo la violenza di genere?

Sentiamo, spesso, parlare di violenza di genere, relativamente a quella messa in atto da un soggetto maschile ai danni di una creatura femminile. Ma la violenza ha davvero un solo genere?

Questo blog nasce per approfondire e informare circa la violenza sulle donne, ma in nessun articolo viene detto che sia l’unica forma di prevaricazione. La scelta personale di dedicarmi a questo argomento è nata dal fatto che l’ho vissuta in prima persona, in quanto donna.

Ma tutti sappiamo che qualsiasi essere vivente può subire violenza: esiste quella sui bambini, sugli anziani, sugli uomini e persino sugli animali. Leggiamo anche di notizie di cronaca nera in cui le vittime sono i genitori.

In questo pozzo buio e profondo, chiamato violenza, ho voluto dedicare la mia attività giornalistica a una delle sue molteplici facce.

I dati forniti dall’ISTAT parlano chiaro e la forma di violenza più diffusa nel mondo resta comunque quella sulle donne. Con questo, nessuno vuole sottovalutare o sminuire tutti gli altri soprusi, che siano fisici o psicologici. https://www.open.online/2022/11/24/istat-rapporto-omicidi-2022/

Tuttavia resta cruciale chiedersi: perché gli esseri viventi più abusati al mondo sono le donne? Lo scopo del blog è cercare risposte a questa complicata domanda, che affonda le sue radici nelle motivazioni storiche, culturali e giuridiche. Un arido terreno, che porta ancora nel 2023 a una disparità tra i due sessi in ogni campo, addirittura in quello lavorativo. https://www.violenzadonne.com/la-donna-quella-violenza-iniziata-tanti-anni/#comment-2427

Dunque, ben venga che si parli di violenza sugli uomini, ma senza ribaltare la realtà o affogare nell’immenso oceano della violenza i dati rilevati sulla violenza di genere.

A conclusione di questo dovuto chiarimento, auguro buon lavoro a tutti i miei colleghi, nel rispetto reciproco della deontologia professionale. https://www.newnotizie.it/2022/11/25/giornata-contro-la-violenza-sulle-donne-quando-la-retorica-sui-maschicidi-non-tiene-i-dati-a-confronto/

Festival del Romance

Sarò presente con i miei libri al Festival del Romance di Roma nei fine settimana 8/9 e 29/30 ottobre

Aggiornamento informazioni: sarò presente al Festival del Romance di Roma anche nel fine settimana dell’8 e 9 ottobre, oltre a quello già annunciato del 29 e 30 del medesimo mese. Vi aspetto con i miei libri e tanti gadget in via di Valle Aurelia, presso il centro commerciale AURA dalle ore 10 alle 19.

https://roma.repubblica.it/dossier-adv/eccellenze-lazio/2022/06/06/news/il_festival-del_romance_di_roma-352403107/?_vfz=medium%3Dsharebar

https://www.violenzadonne.com/novita-in-arrivo/