Di quale giustizia parliamo?

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di Ambra Sansolini

Introduzione

Nel precedente articolo abbiamo analizzato le prove documentali della persecuzione “anonima” subita da Agnese. Adesso invece, prendiamo in esame gli Atti della Procura di Roma, in particolar modo l’analisi del Comandante della Stazione dei Carabinieri cui si rivolse la ragazza e del Pubblico Ministero. La relazione del Comandante è molto importante, perché è tramite la stessa che il Pubblico Ministero si fa un’idea dell’episodio segnalato.
Alcune parti sono state cancellate per motivi di privacy, ma tramite ciò che è lasciato leggibile, si capisce chiaramente come operi la “Giustizia” italiana quando si tratta di violenza sulle donne.

Il Comandante dei Carabinieri

Vediamo cosa scrive un uomo posto a tutela dei cittadini: nella prima riga parla di “condotte diffamatorie” (diffamazione art. 595 c.p.p.) e specifica che le stesse alludono a una relazione sentimentale della querelante con un uomo. Andando avanti, egli si contraddice completamente e nega quanto affermato nella prima riga, asserendo esplicitamente che in tali missive anonime non sono presenti minacce o ingiurie. Si parla di tre lettere, perché al momento preso in esame le missive erano tre. Sottolineiamo che alla fine, in tutto, saranno cinque e che ogni volta Agnese, nonostante la Magistratura italiana continuasse a non aiutarla, ha sporto una querela.
In conclusione, il Carabiniere ipotizza accertamenti tecnici circa la calligrafia dell’autore delle lettere anonime, da confrontare “eventualmente” con quella di due sospettati.

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