La violenza sulle madri e quei diritti ancora negati alle donne

La violenza sulle madri e quei diritti ancora negati alle donne

 

  • La violenza sulle madri è la prima conseguenza dei diritti negati alle donne.

Abbiamo analizzato cosa accade a coloro che decidono di uscire dalla violenza e denunciano l’aguzzino. Il danno inestimabile alla maternità passa attraverso i cavilli di una Legge leggera, che facilita le giustificazioni agli atti dell’uomo violento e colpevolizza la vittima.

Ma come ci si arriva a questo calvario?

Ripercorriamo insieme le tappe distruttive del disegno diabolico:

1) conoscenza e bombardamento d’amore. Inizia tutto con una storia da favola;

2) quando il carnefice mette il sigillo al rapporto, attraverso il matrimonio e/o i figli, smette di fingere amore. La donna è in trappola ed egli può iniziare a tirare fuori il suo lato oscuro;

3) la violenza psicologica distrugge le sicurezze femminili, lede l’autostima. Pur avvertendo un forte disagio, la vittima non riesce ad allontanarsi dall’abusante: inizia la dipendenza affettiva e una destabilizzazione emotiva devastante;

4) il silenzio e l’isolamento in cui annega la donna amplificano la portata degli abusi psicologici. Anche nei rari casi in cui riesce a confidarsi con qualcuno, la fuga dal carnefice resta una meta ancora irraggiungibile. Accade spesso che non è creduta neppure da parenti e amici, poiché l’offender mantiene con gli altri un’immagine sociale impeccabile.  È un mostro solo tra le mura domestiche. Qualora invece la vittima riesce a trovare il sostegno di chi le sta attorno, non è in grado, concretamente, di mettere fine alla relazione: agli sfoghi non segue l’azione;

5) l’esordio della violenza fisica arriva quando il manipolatore è certo di aver reso inerme la compagna o moglie. Nulla avviene a caso in una storia di violenza;

6) il desiderio di un figlio si unisce alla speranza che l’uomo maltrattante cambi;

7) il clima di violenza, invece, continua anche con il/la bambino/a. Alcune donne, proprio per i figli, trovano il coraggio di chiudere il rapporto;

8) per mettere in pratica la fuga la donna deve avere a disposizione risorse economiche e morali: una casa dove andare e ciò che serve per crescere il figlio. Certamente, non potrà contare sul sostegno dell’ex compagno o marito. La violenza economica, già esistente durante il matrimonio o la relazione more uxorio, si acuisce nel momento in cui la vittima prova ad affrancarsi da quello stato di schiavitù;

9) da questo momento iniziano le difficoltà che, nel tortuoso percorso dell’affidamento del figlio, avvantaggiano il carnefice a discapito della vittima. Una serie di necessità contingenti di sopravvivenza inducono la donna a commettere alcuni “errori”, fortemente sanzionati dal diritto di famiglia. In verità non si tratta di errori ma di vie di salvezza, che tuttavia vengono punite a norma di legge, colpevolizzando la vittima.

Molte volte, nei convegni sulla violenza contro le donne, abbiamo sentito parlare di allontanamento dell’uomo violento dalla casa di famiglia. Ma questa è una circostanza che si attua assai raramente e uno dei principali motivi per cui molte donne muoiono tra le mani del carnefice, è proprio la difficoltà  di reperire un posto in cui vivere con il figlio.

Ecco che l’occupazione femminile diventa uno dei primi mezzi per arginare la violenza sulle donne.

Le discriminazioni sul lavoro e la remunerazione, di gran lunga inferiore rispetto a quella maschile, le costringono a vivere già in una condizione subalterna.

Il discorso si riallaccia anche alle molestie sessuali, che avvengono nel mondo professionale. Come se le capacità intellettive delle donne  non siano mai valutate in modo giusto.

Senza parlare poi dell’assurda divisione di mestieri, nella quale alcune categorie sembrano essere precluse all’universo rosa.

Anche la lingua italiana non ci viene in aiuto: alcuni vocaboli (“medico”, “chirurgo”, “ingegnere”, “presidente”, “ministro” etc.) esistono unicamente nel genere femminile. E anche la concordanza dei sostantivi e degli aggettivi al plurale impone il maschile.

Inserire le donne nel mondo del lavoro aiuta senz’altro a prevenire la violenza. Ma attenzione che poi i papà separati o divorziati non si mettano in testa di fare “i mammi”…

Leggi l’articolo sulla violenza contro le madri

 

 

 

 

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