Il suicidio delle vittime: le morti silenziose

Il suicidio delle vittime

 

di Ambra Sansolini

Il suicidio delle donne vittime di violenza, fa parte di una lista nera. Mentre i mass media veicolano ogni giorno notizie sul femminicidio, delle donne che si uccidono a seguito delle violenze subite, nessuno ne parla. Perché questo silenzio?

L’Organizzazione Mondiale della Sanità : effetti letali della violenza di genere

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S) nel 1947 ha definito la salute come “stato di benessere fisico, psichico e relazionale”. Qualora uno di questi tre elementi venga alterato, si può parlare di “malattia”.

Da un rapporto pubblicato dall’OMS, in collaborazione con la London School of Hygiene & Tropical Medicine e la South African Medical Research Council, la violenza contro le donne è definita come “un problema di salute di proporzioni globali enormi”. Gli effetti causati da tali abusi sono morte e lesioni; depressione; abuso di alcol; malattie sessualmente trasmissibili; gravidanze indesiderate e aborti.

Come si arriva al suicidio?

Secondo i dati diffusi dall’ “Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna”, le donne che hanno subite più violenze dal partner, hanno riferito la perdita di fiducia e autostima, sensazione d’impotenza (44,5%), disturbi del sonno (41%), ansia (36,9%), depressione (35,1%), difficoltà di concentrazione (23,7%), dolori ricorrenti in tre diverse parti del corpo (18,5%), difficoltà a gestire i figli (14,2%), idee di suicidio e autolesionismo (12,1%). La paura, l’angoscia e lo stress associato agli abusi da parte dell’ex o del compagno, possono portare a problemi di salute cronici quali mal di testa o dolori alla schiena, sintomi di svenimento, disturbi gastrointestinali e cardiaci, come ipertensione e dolore precordiale.

Conseguenze fisiche

Le conseguenze sul piano fisico, a breve termine, sono: ecchimosi, fratture, lesioni addominali, disabilità, danni oculari, lacerazioni e abrasioni. A lungo termine: problemi del sistema immunitario, disturbi gastrointestinali, fibromialgie, sindromi da dolore cronico.

Conseguenze sul piano sessuale e riproduttivo

Le conseguenze riguardanti questa sfera, nell’immediato, sono: sbalzi ormonali e disturbi ginecologici, complicazioni della gravidanza, procurato aborto e gravidanze indesiderate. Nel tempo, invece, compaiono: malattie veneree a trasmissione sessuale, disfunzioni sessuali, sterilità e malattia infiammatoria pelvica.

Effetti psicologici e comportamentali

Gli effetti a breve termine sul piano psichico sono: ansia, attacchi di panico, disturbi del sonno, inattività fisica, sensi di vergogna e di colpa. A lungo termine, si generano: fobie, depressione, disturbo post-traumatico da stress, disturbi psicosomatici, scarsa autostima, tendenza suicida e autolesionista. Si aggiungono poi: comportamenti sessuali a rischio, fumo, abuso di alcol e droghe, disturbi dell’alimentazione.

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Conseguenze mortali

La mortalità materna compare come effetto a breve termine. Dopo il protrarsi delle violenze invece, la vittima viene uccisa dall’uomo oppure si suicida.

La valutazione di tali condizioni, può essere fatta :

  • dal Medico di famiglia;
  • dal Medico del pronto soccorso;
  • dal Ginecologo;
  • dallo Psichiatra.

In ogni caso tutti gli operatori sanitari, possono rilevare tali disturbi durante la loro attività.

Vedi

Sistema giuridico: suicidio della vittima nell’art.572 c.p.p.

Teoria della Legge

“Sussiste la circostanza aggravante della morte derivata dal fatto dei maltrattamenti in famiglia, prevista dall’art.572 c.p.p., qualora il suicidio del soggetto passivo, benché non espressamente voluto, sia da mettere in sicuro e diretto collegamento con i ripetuti e gravi episodi di maltrattamenti per effetto dei quali lo stato di prostrazione indotto nella vittima sia da identificarsi quale vero e proprio trauma fisico e morale che la determinarono a darsi la morte.” (Cass.pen.,sez. VI, 19.2.1990, CP, 1991, I, 1986).

Applicazione della Legge

La Corte di Cassazione, con sentenza 44492/2009, escluse la sussistenza dell’aggravante del suicidio della donna, in relazione alla condanna per maltrattamenti. “Per garantire il principio di colpevolezza e di personalità della responsabilità penale nei casi di suicidio seguito alla condotta di maltrattamenti, è necessario che l’evento sia la conseguenza prevedibile in concreto della condotta di base posta in essere dall’autore del reato e non sia invece il frutto di una libera capacità di autodeterminarsi della vittima, imprevedibile e non conoscibile da parte del soggetto agente al quale, pertanto, non potrà imputarsi il rischio dell’aggravante in esame in rapporto alla sua condotta comprovatamente illecita”. In primo grado la Corte d’Assise di Bergamo, aveva emesso la condanna con l’aggravante per il suicidio. La sentenza è stata poi modificata in appello, sulla base della confessione della donna, che aveva dichiarato di accettare per amore le “violente interperanze dell’uomo” con cui voleva sposarsi. Decisione poi confermata dalla Cassazione.

Emulazione del suicidio

Nella sostanza di questo gesto estremo, ha un ruolo fondamentale la componente emulativa. Nell’Ottocento, a seguito della pubblicazione del romanzo “I dolori del giovane Werther” di Goethe, ci fu un incremento di suicidi. Da allora si parla di effetto Werther. Per questa ragione, l’Organizzazione mondiale della sanità ha introdotto delle linee guida, che gli operatori dell’informazione e dei mezzi di comunicazione, devono seguire.

Visione sociale e culturale del suicidio

In molti Paesi europei, dal Medioevo fino al XIX secolo, il suicidio era un reato. Molti Paesi islamici e l’India, lo considerano ancora un crimine.

Attualmente in nessun Paese europeo, il suicidio o il tentato suicidio è un reato.

Secondo la religione cattolica, il suicidio è un grave peccato. Fino a poco tempo fa, chi si toglieva la vita, non era degno di celebrare i funerali in Chiesa. Questo sostrato storico-culturale, nasceva dall’idea che la vita fosse un dono dato da Dio e che pertanto il suicidio andasse contro l’ordine naturale delle cose. Si opponeva quindi, al piano di Dio per l’umanità.

Conclusioni

Avere dei limiti nella divulgazione delle notizie di suicidio, non significa ignorare.

Affrontare il discorso sul piano morale, sarebbe davvero troppo complicato e infinitamente lungo.

Comprendere equivale a non giudicare

Non bisogna giudicare chi compie questo tragico gesto e dobbiamo uscire dal senso di colpevolizzazione e vergogna della vittima. La vera colpa è da attribuire a un intero sistema (giuridico, culturale, sociale etc.), che non ascolta il grido di aiuto delle donne.

L’inadeguatezza del sistema giuridico e l’impotenza della vittima

Come abbiamo analizzato, la nostra Magistratura, ha inserito l’aggravante del suicidio della vittima nel reato dei maltrattamenti in famiglia. Ma tutto ciò continua ad avvenire in maniera poco concreta. La vittima non viene difesa giuridicamente né in vita né dopo il decesso. Come può sentirsi una donna lasciata sola anche dalla Giustizia?

Siamo giunti a un punto in cui le parole e la semplice emanazione di una legge, non bastano più.

Che fine ha fatto il reato d’istigazione al suicidio, mai applicato nella violenza sulle donne? Sarebbe disumano, lasciare il carnefice libero di condurre la donna al suicidio.

Una piaga sociale

Bisogna liberarsi dai pregiudizi sociali e dal retaggio storico di un paese retrogrado e bigotto. Secondo l’Associazione Intervita Onlus, la violenza sulle donne costa ogni anno quasi 17 miliardi di euro, pari a tre manovre finanziarie. Vi rientrano spese sanitarie, giudiziarie, di ordine pubblico, farmaci e consulenze psicologiche.

“Ci vuole tutta una vita per imparare a vivere, e, ciò che forse ti stupirà di più, ci vuole tutta una vita per imparare a morire”. Così scriveva Seneca. Noi intanto impariamo a tutelare le donne vittime di violenza e soprattutto a prevenire questa piaga sociale.

 

 

 

 

 

 

 

 

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