La famiglia disfunzionale: evoluzione-involuzione dei membri.

Il bambino capro espiatorio e la spirale della manipolazione

Come evolve una famiglia disfunzionale, in cui uno dei due genitori è manipolatore? Il bambino capro espiatorio da adulto avrà una bassa autostima e inconsapevolmente si troverà in relazioni in cui sarà presente un individuo manipolatore. Non smetterà di cercare conferme fuori, quelle stesse che non ha ricevuto dal genitore abusante. Sarà in questa faglia, che si inserirà scaltramente il narcisista patologico. Carnefice e vittima, spesso, hanno alle spalle la stessa famiglia disfunzionale. Il loro polo di attrazione ruota proprio attorno a quella medesima ferita, alla quale i due soggetti hanno reagito in maniera speculare e opposta. Pertanto, si tratta di un incastro quasi perfetto, incapace di generare un amore sano e autentico.

Il figlio d’oro e l’illusione della perfezione

Dall’altra parte, il figlio prediletto dal genitore manipolatore, ossia il figlio d’oro, avrà gli stessi tratti prevaricatori e non riuscirà mai a costruire un rapporto a due. Infatti, l’unica coppia degna di esistere è quella simbiotica di origine. Non c’è spazio per nessun altro. In una catena vorticosa, a sua volta, quando avrà figli ripeterà il medesimo fenomeno, percependo questi come un prolungamento di sé stesso. Resterà sempre deluso dalla realtà circostante, proprio perché totalmente appagato dall’illusione di perfezione, ricevuta fin dall’infanzia.

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Il genitore disfunzionale

Tra tutti i membri della famiglia è quello meno in evoluzione, che da una parte continuerà a vantarsi della finta perfezione del figlio d’oro e dall’altra potrà sempre dare sfogo al suo cronico vittimismo, tramite le circostanze infauste del figlio capro espiatorio. Totalmente incapace di un ravvedimento, negherebbe anche il bisogno di un aiuto psicologico, in virtù di quella intoccabile perfezione di cui si sente portatore.

Nei confronti del coniuge o partner, presenta lo stesso attaccamento malato che ha con la prole e più che a una relazione tra adulti, siamo di fronte a un’errata riproduzione del rapporto genitore/figli. Infatti, può rappresentare per il/la compagno/compagna il genitore prevaricatore oppure il figlio d’oro.

Il genitore non disfunzionale

Resta un’impresa ardua gestire un nucleo familiare in cui vi sia un manipolatore. Purtroppo, è impossibile arginare i danni di una famiglia disfunzionale. Il genitore non patologico può essere, soprattutto per il figlio capro espiatorio, un porto sicuro: l’unico vero punto di riferimento nella sua crescita. Attutisce gli urti provenienti dalla subdola alleanza tra genitore manipolatore e figlio d’oro, così come è responsabile di quel briciolo di autostima del figlio maltrattato. I danni si amplificano qualora il genitore “sano” non è più presente a causa della separazione o in caso di decesso.

Processo di consapevolezza: chi di loro può?

Il bambino capro espiatorio potrà da adulto iniziare un processo di consapevolezza, anche con un aiuto psicologico. Sicuramente è quello che più pagherà i danni della famiglia disfunzionale, ma al quale è concessa la salvezza. Nella sua evoluzione vera, dopo la presa di coscienza di quanto accaduto, si assiste a una forte degenerazione del rapporto con il genitore manipolatore. Solitamente, il figlio riduce i contatti ai minimi termini. A nulla serve il suo sforzo di far capire la realtà al padre o alla madre manipolatore/manipolatrice. Non ci saranno sensi di colpa, richieste di perdono o riconoscimenti degli sbagli. Il perdono è un cammino che quell’adulto, ormai forte proprio grazie a ciò che ha subìto, deve fare da solo.

Il figlio d’oro resterà per sempre intrappolato negli effetti della famiglia disfunzionale, perpetrando l’infelice spirale.

Il genitore non disfunzionale può intraprendere il processo di consapevolezza, ma in quanto partner dell’abusante, sicuramente il suo cammino è più complicato rispetto a quello del figlio capro espiatorio. Tale evoluzione richiede comunque la necessità di rivedere la coppia stessa e apre un’ampia possibilità alla chiusura del rapporto.

Nel buio totale, insieme al figlio d’oro, resta invece il genitore manipolatore, convinto della sua indiscutibile perfezione. Continuerà a proferire di amare i figli tutti allo stesso modo.

Conclusione: una macchina di dipendenza

La famiglia disfunzionale si presenta, quindi, come una dolorosa macchina di dipendenza. Attraverso stili di attaccamento totalmente errati, inconsapevolmente prepara il terreno alla violenza psicologica del narcisista.

Leggi l’articolo sulla dipendenza affettiva

Uscire dalla dipendenza affettiva non è facile, ma sicuramente possibile. Tra tutti i membri del nucleo familiare, il figlio capro espiatorio è l’unico in grado di evolversi veramente. Si tratta di un’evoluzione inconsapevole, almeno all’inizio, che esordisce durante l’infanzia e dalla quale scaturisce l’etichetta stessa di “pecora nera della famiglia”.

La rinascita del capro espiatorio

Come in ogni forma di violenza psicologica, colui che se ne ribella viene fatto passare per matto o sbagliato. Pertanto, l’evoluzione necessita di una seconda fase, incentrata sulla consapevolezza di quanto accaduto in famiglia. Solo da qui ha vita la rinascita. Il capro espiatorio, dopo essere stato anche preda del narcisista, riesce finalmente a metabolizzare quanto avvenuto e a capirne i motivi. Tale razionalizzazione è capace di spegnere tutto il dolore e la rabbia che derivano da esperienze simili. Solo da questo momento è possibile dire e promettersi “mai più”.

Fonti di studio e lettura: il libro “Genitori manipolatori”, scritto dalla grande specialista della manipolazione psicologica Isabelle Nazare-Aga. Ve ne consiglio vivamente la lettura. Fatemi sapere, poi, che ne pensate!

L’abuso psicologico: nodo cruciale della spirale della violenza

 

di Ambra Sansolini

Dalle mappe concettuali dell’articolo precedente, è emerso chiaramente come il fulcro della spirale della violenza sia l’abuso psicologico: tutto ha inizio e si ripete a partire da questo tassello. Solamente recidendo il tragico ramo, possiamo iniziare ad assaporare la libertà. Poiché la violenza fa leva sulle nostre fragilità e mira a trasformare i i punti di forza in altre vulnerabilità.

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Lentamente si muore a causa della violenza psicologica

 

di Ambra Sansolini

 

Introduzione

Non si muore solo con una pallottola o una lama. Si muore ogni giorno, quando un uomo si arroga il diritto di sentirsi superiore. Stiamo parlando della violenza psicologica all’interno della coppia, che può portare anche al decesso della vittima. Umiliazioni, silenzi, provocazioni continue. L’intento di soggiogare la donna con la paura e il ricatto. Un incubo che dura anni e nessuno vede, se non chi lo vive. Le conseguenze sono deleterie. Riconoscerlo, si può. Non esiste un limite preciso tra una semplice offesa o mancanza di rispetto e la violenza psicologica. Perché si tratti di quest’ultima, bisogna notare la reiterazione degli episodi e le sensazioni della donna, che sa per certo di stare male, ma non conosce bene le ragioni di quel malessere.

Se ti senti così…

Se ti vedi brutta, ti percepisci incapace, non all’altezza, inadeguata. Se non sai stirare bene le camicie e non pulisci alla perfezione. Se le faccende di casa sono unicamente affar tuo. Se non ti senti libera e a tuo agio nell’ambiente domestico. Se ogni volta che sogni di fare qualcosa, puntualmente arriva lui a ricordarti che non ce la farai e stai solo perdendo tempo. Se tutto ciò che pratichi non è degno di stima e attenzione. Se la colpa è sempre la tua. Se sei la bambina cattiva da educare e punire. Se, quando non fai come dice lui, sei una poco di buono. Se riesce a farti compiere azioni lontane dal tuo codice etico e morale. Se, in virtù di alcuni valori, ti sottopone a pressioni e insiste nel chiederti qualcosa. Se, mentre piangi per le offese ricevute, ti deride e si prende gioco persino del dolore che ha causato lui. Se non puoi permetterti di rispondergli con un secco no. Se tutto ciò che proponi e progetti non trova mai realizzazione concreta, perché egli sa come mandarlo all’aria. Se non puoi gestire l’economia della famiglia, perché l’unico a disporre dei soldi è lui. Se vivi tutto questo, sei dentro alla violenza psicologica.

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Un semplice diverbio o violenza psicologica?

 

di Ambra Sansolini

 

Introduzione

Dove esiste violenza fisica, c’è sicuramente quella psicologica. Ma non viceversa. Pertanto, sono innumerevoli gli ambiti in cui si compie l’abuso psicologico e soprattutto svariate le modalità. Chiunque, nell’arco della propria vita, ha subito questo tipo di vessazione. Dopo avere imparato bene in cosa consiste, rifletteremo su tutte le circostanze che ci hanno visto vittime di una simile aggressione. Solo allora ci renderemo conto che il numero di quegli spiacevoli episodi è enorme. Perché avviene questo? Come mai è un fenomeno sempre più in crescita e ormai diffuso anche tra i giovani? Qual è lo scopo degli autori del maltrattamento? A tali domande risponderemo nelle seguenti righe.

Quali sono i luoghi in cui si perpetra questo abuso?

Ovunque. Più spesso avviene nei posti di lavoro o all’interno di tutti quei gruppi sociali (famiglia, amici etc.) in cui alcuni membri vogliono dominare sugli altri. La ritroviamo persino negli ambienti che si propongono l’elevazione morale e il sostegno delle persone (associazioni culturali, religiose etc.), poiché è più facile nascondere tale forma di violenza sotto propositi edificanti e “buoni”.

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Donne vittime di relazioni pericolose: come uscire dalla spirale della violenza

Su ali di farfalla: il volo dalla violenza alla libertà
Il volo dalla violenza alla libertà

Domani domenica 14 Gennaio 2018 a Nettuno presso l’istituto Scuola paritaria “San Francesco” in via della Liberazione n.35 si terrà un convegno informativo per prevenire relazioni pericolose.

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La comunicazione paradossale

 

di Ambra Sansolini

 

Introduzione

Come comunica l’uomo maltrattante? In modo paradossale e assurdo. Si tratta di una forma subdola di violenza e manipolazione, attuata nella fase iniziale del rapporto e dopo la separazione o il divorzio, nel caso in cui vi siano figli in comune. Lascia segni permanenti nella vittima, che si sente intrappolata in dialoghi privi di senso e senza uscita.

La corda

Arriva un punto in cui la relazione idilliaca dei primi tempi, con le parole romantiche e le promesse d’amore, lascia spazio a frasi incomprensibili, taglienti come lame. L’aguzzino soffoca così la donna, come se le mettesse attorno al collo una corda. Questa inizia a interrogarsi sulla propria capacità comunicativa, poiché i messaggi che veicola al partner, non vengono recepiti. Ad aggravare tutto ciò, subentra poi la proiezione del senso di colpa, fatta sadicamente dall’abusante per destabilizzare ancora di più la compagna o moglie. In fondo la comunicazione è alla base di ogni rapporto umano, ma rappresenta il primo ingrediente che manca all’interno di situazioni in cui vige un modello dominante. Diventa per l’aguzzino il mezzo principale attraverso cui distrugge l’autostima dell’altra persona.

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Manipolazione mentale: salvati per la tua Felicità!

Fai quello che ti rende felice e basta! Questa è la ricetta della Felicità. Non esistono cose che rendano felici in maniera oggettiva, perché ciò che per una persona può essere una dannazione, per un’altra potrebbe essere la sua gioia. Ti diranno come devi essere per andare bene. Ti faranno credere che la Felicità sia quello che dicono loro. Ti persuaderanno (PERSUADERE=MANIPOLARE) che in quello che vuoi tu, ci sia solo sacrificio. Così sarà facile farti credere che non ce la farai. E allora proverai così tanta paura, che finirai per convincerti di questo.

 

Alla fine sentirai di non essere all’altezza, vedrai ciò che volevi fare come il più grande dei problemi. Ecco, è in questo momento di angoscia e paura che devi forzarti un po’, poiché se ti lascerai andare, sarai ciò che dicono loro. È questa la fase in cui devi capire che la paura ti sta indicando semplicemente la cosa più giusta per te. Le scelte comode e facili, non portano alla vera Felicità. Questa si nasconde in tutto ciò che di complicato possa esserci e si lascia assaporare da chi è capace di non tradire sé stesso. Goditi quella paura perché sarà la tua benedizione. Non fuggire. Nessuno deve avere il potere di farti vedere come una disgrazia ciò che in cuor tuo, senti essere una gioia. Nessuno conosce ciò che per te sia la Felicità, neppure un genitore. Se c’è una cosa pericolosa al mondo, è la presunzione di un genitore nel sapere cosa possa rendere felice un figlio: il più delle volte proietta su questo le proprie ansie e frustrazioni. La forma più subdola di manipolazione, è quella compiuta da una madre o da un padre. Avremo uomini e donne liberi e felici, solamente quando smetteremo di pensare che i genitori conoscano la Felicità dei propri figli. “L’ho fatto per il tuo bene”, è la scusa più grossa che si possa dare per coprire i propri egoistici desideri. “L’ho fatto per te”, significa che l’ha fatto per sé.

 

Chi può sapere quale sia il tuo bene? Che ne sa un genitore del sapore della tua Felicità? Nessuno può conoscerlo. Neppure chi ti ha messo al mondo. Perché la Felicità è in diretta connessione con la parte più buia e nascosta dell’ anima. Si trova in quel posto in cui nessuno arriva mai. Ecco perché facciamo difficoltà a capire cosa ci renda davvero felici. Perché per tirare fuori la Felicità, dobbiamo acchiapparla e portarla via dall’angoletto in cui rifugge e si cela così bene. Per scoprirla, dobbiamo passare vari stati di smarrimento e confusione. Siamo costretti a restare persi per un po’. Per questo motivo, può sembrare molto bello e appagante il fatto che arrivi qualcuno con la ricetta magica, con l’indicazione giusta per la Felicità. Non ci sembra vero che una persona ci liberi da quel turbamento. In verità, ciò che appare come libertà e serenità, sarà poi la gabbia del rimpianto e dell’angoscia.
Bisogna ascoltarsi, non mettere a tacere mai quella vocina interiore. Perché la Felicità parla così: non è chiara, non dice precisamente tutto, ma ci lascia a metà. L’altra parte sta a noi scoprirla. E la troviamo solamente tuffandoci. La Felicità ci aspetta oltre il vuoto, al di là del buio. Un salto così farebbe paura a chiunque, ma vale quanto la Felicità.

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La denuncia-querela: l’inizio del calvario

 

di Ambra Sansolini

Introduzione

Ci esortano a denunciare, ma cosa accade esattamente dopo quest’azione legale? La denuncia-querela è solo il primo passo verso la liberazione: non è un punto di arrivo, ma di partenza. La situazione si aggrava soprattutto quando ci sono figli in comune.

L’ardua decisione della vittima

Quando una donna che ha subito violenza da parte del compagno, marito o ex, prende finalmente la decisione di sporgere formale denuncia-querela, spera in cuor suo di porre così il sigillo a una serie di sofferenze atroci. La scelta di solito arriva dopo che la vittima ha preso consapevolezza della reale situazione ed esce dal soffocante tunnel della violenza psicologica. A quel punto è già scesa dall’altalena della destabilizzazione emotiva creata dall’aguzzino e non è più avviluppata nella rete della dissonanza cognitiva. Il carnefice ha assunto i veri tratti che gli appartengono e non riesce più ad esercitare potere e controllo sulla vittima. Tutto questo non dipende da lui, ma dalla donna che ha scelto di riprendere in mano la sua vita. Il periodo che precede l’ardua decisione è pieno di conflitti interiori ed è caratterizzato da una confusione tale, per cui la vittima può essere paragonata a una leggera foglia trasportata dal vento.

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Il suicidio delle vittime: le morti silenziose

 

di Ambra Sansolini

Il suicidio delle donne vittime di violenza, fa parte di una lista nera. Mentre i mass media veicolano ogni giorno notizie sul femminicidio, delle donne che si uccidono a seguito delle violenze subite, nessuno ne parla. Perché questo silenzio?

L’Organizzazione Mondiale della Sanità : effetti letali della violenza di genere

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S) nel 1947 ha definito la salute come “stato di benessere fisico, psichico e relazionale”. Qualora uno di questi tre elementi venga alterato, si può parlare di “malattia”.

Da un rapporto pubblicato dall’OMS, in collaborazione con la London School of Hygiene & Tropical Medicine e la South African Medical Research Council, la violenza contro le donne è definita come “un problema di salute di proporzioni globali enormi”. Gli effetti causati da tali abusi sono morte e lesioni; depressione; abuso di alcol; malattie sessualmente trasmissibili; gravidanze indesiderate e aborti.

Come si arriva al suicidio?

Secondo i dati diffusi dall’ “Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna”, le donne che hanno subite più violenze dal partner, hanno riferito la perdita di fiducia e autostima, sensazione d’impotenza (44,5%), disturbi del sonno (41%), ansia (36,9%), depressione (35,1%), difficoltà di concentrazione (23,7%), dolori ricorrenti in tre diverse parti del corpo (18,5%), difficoltà a gestire i figli (14,2%), idee di suicidio e autolesionismo (12,1%). La paura, l’angoscia e lo stress associato agli abusi da parte dell’ex o del compagno, possono portare a problemi di salute cronici quali mal di testa o dolori alla schiena, sintomi di svenimento, disturbi gastrointestinali e cardiaci, come ipertensione e dolore precordiale.

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