Il carnefice e il tribunale: il suo palcoscenico preferito

Il carnefice e il tribunale: il suo palcoscenico preferito

 

di Ambra Sansolini

Introduzione

Ormai abbiamo ampiamente analizzato i tratti della personalità del carnefice. Da questi approfondimenti, è stato possibile capire che un narcisista perverso o uno psicopatico recita costantemente una parte. È un attore nato e ciò gli permette, all’inizio della relazione, di ingannare la partner e successivamente di attuare il piano di distruzione ai danni della stessa, fingendo la parte della vittima. Un essere simile mente sempre e ripetutamente: lo fa per nascondere i suoi adulteri, per sfruttare economicamente e moralmente chiunque abbia accanto. Dice bugie con il sadico obiettivo di alterare le percezioni della compagna o moglie, onde poi farla passare per pazza.
Ma c’è un luogo in cui egli dà vita alla più grande recita narcisistica: il tribunale.
Ci verrebbe spontaneo pensare che un soggetto imputato per maltrattamenti in famiglia o stalking viva il regno delle toghe con timore e angoscia. Invece no. Il suo delirio di onnipotenza lo induce a sfidare persino la Legge, della quale si sente superiore.

Il delirio di onnipotenza

In effetti, come potrebbe manifestare ansia o stress davanti agli organi della Magistratura, un individuo privo di emozioni e sentimenti? Perché mai dovrebbe provare vergogna un uomo senza empatia e percezione di colpa? Ecco allora che il tribunale diventa il suo palcoscenico preferito.
Sia nella mia esperienza personale, che attraverso la TV, ho avuto modo di seguire molti processi civili e penali in cui vi era un soggetto simile.
Uno dei tre poteri dello Stato è proprio quello della Magistratura e pertanto chiunque si rapporta con detto organo in maniera dimessa e umile. Un narcisista perverso o uno psicopatico fa l’esatto contrario: è proprio qui che si sente come un dio, poiché il suo gusto perverso aumenta quando sfida persone competenti e professionali. Competere con uno dei poteri esercitati dalle Istituzioni, deve eccitarlo e non poco. Parliamo appositamente di “eccitazione”, perché piacere o gioia sarebbero termini fuorvianti e non adatti alla situazione. Manca totalmente nell’aguzzino la sfera affettiva e quindi vive solamente di scariche di adrenalina, che prova quando vede soffrire gli altri.

Tradito dalla presunzione di superiorità

Non importa che sia l’imputato o la parte lesa nel processo, conta che egli è certo di fregare anche i Magistrati. Ho avuto l’opportunità di assistere di persona a un’udienza penale per maltrattamenti in famiglia, durante la quale mi è rimasto impresso un atteggiamento dell’abusante.
Il Pubblico Ministero gli chiese: «Ha mai ostacolato gli studi della sua compagna perché doveva fare la “donna di casa”?» Egli rispose: «Assolutamente no. So quanto sia importante studiare, anche se io non l’ho voluto fare. Probabilmente “se avrei studiato”, oggi starei al vostro posto». Da notare innanzitutto l’errore grammaticale nella frase ipotetica, dove usa il condizionale e non il congiuntivo. Ma a parte la forma sgrammaticata, ciò che fa rimanere a bocca aperta è la presunzione con la quale non solo mente circa la violenza compiuta, ma arriva addirittura a sminuire i professionisti che ha davanti. Tutto ciò avviene, poiché il suo primario intento è sempre quello di mettere in una condizione subalterna l’interlocutore in modo da tenere sotto controllo anche un interrogatorio giudiziale.
Il carnefice pensa di poter gestire anche una situazione simile, nella quale egli è sotto torchio e oggetto di un’inchiesta penale. Continua a mentire senza tregua, senza minimamente rendersi conto che mentre un Magistrato formula una domanda, è perché già si è fatto un’idea. Crede di poter intimorire la controparte, prova a minare le sue certezze. Non si accorge, che nell’incalzare del questionario, si contraddice troppo spesso, dando prova al Giudice delle sue ripetute menzogne.

Oltre la comunicazione perversa: quando è il corpo a parlare

Completamente scisso dalla realtà, si compiace del fatto di essere al centro dell’attenzione, con un microfono e molteplici tecnici “a suo servizio”. Il banco del tribunale diventa il suo palcoscenico preferito.
Oltre alle continue contraddizioni in cui cade, si lascia poi andare a qualche “lapsus linguae” con i quali fornisce preziosi dettagli sugli atti nefandi da lui compiuti.
Mentre egli parla attraverso la menzogna e sta immerso nel terribile mondo perverso, in cui sguazza con il solito ghigno (che non è un sorriso), a darci una chiara immagine delle sue dichiarazioni sono i gesti, le smorfie del viso e la posizione nella quale è seduto. Molto spesso alza lateralmente l’arco del labbro superiore, in segno di disprezzo e sprezzante superiorità. Può muovere all’insù la testa, guardando l’interlocutore dall’alto verso il basso. Solitamente, è seduto con le spalle curve e chiuse, segno della chiusura totale a tutto ciò che sfugge al suo controllo e potere. Si raschia la gola per temporeggiare e pensare a qualche altra bugia da sparare. Dà delle risposte sempre vaghe e indefinite, cercando di scappare alla verità, ma si tradisce sotto il pressante procedere del Giudice. Prova a raggirare le domande, andando fuori argomento e sperando in tal modo di sviare l’accusa. Diventa rosso sul collo e sul volto e le sue vene iniziano a pulsare in maniera evidente.
Se accusato di aver ucciso la donna, potrebbe lasciarsi andare a qualche finta lacrima, che non gli bagna neppure le guance. Numerosi saranno gli sbattiti di ciglia, come stesse recitando la parte del cerbiattino innamorato. Talvolta ha un occhio leggermente socchiuso, non spalancato, come se pesasse sulle palpebre il marcio che ha dentro.
Se allarga le narici del naso è un segno di seduzione, che tenta di innescare ai danni del Giudice, qualora sia una donna (pensate quanto è scemo!) Mentre il Magistrato lo guarda con aria commiserevole, egli potrebbe arrivare a pensare di aver fatto colpo anche su di lei.
Nonostante il trionfo di cui si sente artefice, esce dall’aula per primo, a testa bassa e con passo spedito. Scappa. Fugge dalla paura, fugge dalle responsabilità, fugge dalla ferita narcisistica sulla quale ha costruito una specie di dio, che esige perfezione e vittime da sacrificare.
Ci sono degli atteggiamenti che denotano il suo vuoto e le incolmabili fragilità. Talvolta il Super Io viene fuori e punta il dito contro il Falso Sé: è in quel momento che si percepisce come il più abietto degli uomini e allora vive la fase del “down”, cade in depressione, fa uso di alcol e droghe, ha atteggiamenti sessuali promiscui. Si stordisce in ogni modo per non guardarsi dentro ed evitare così di vedere il nulla. Può giungere ad atti autolesionistici, fino al suicidio. Ma se si sbriga a trovare altro rifornimento narcisistico, è salvo. Il Falso Sé è un vampiro affamato di lacrime e sangue e lui, per vivere bene, deve costantemente nutrirlo.

Conclusioni

Insomma, mai in nessun altro luogo, come nel tribunale, si manifesta con veemenza tutta la sua patologia. È squallido e grottesco ai limiti della caricatura. Riesce a far vergognare i presenti, che sono esseri umani come lui per la sua bassezza interiore e viltà d’animo. Ma la verità è che egli non ha alcunché di umano, se non il corpo.

Talvolta accade che l’aguzzino usa la Legge per perseguitare la vittima, configurando un vero e proprio “stalking giudiziario”. Di solito attua questa tecnica per ledere economicamente e psicologicamente l’ex compagna. Lo fa nel momento in cui ella si è davvero liberata dalle sue catene e ha rotto ogni contatto. Incontrarsi in tribunale è pur sempre un incontro!

Gli interrogatori che devono fare i Magistrati a soggetti simili, sono estenuanti, privano di energie e solo a prenderne parte come spettatore, ti senti depauperato di tutta la tua vitalità. Le domande possono durare molte ore e ci vuole un’infinita pazienza. Eppure cadono, caspita se cadono! Ma in ogni caso, li vedrete uscire da quell’aula contenti e fieri, come se fossero riusciti a mettersi nel sacco tutti quanti…

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