“Kill Bill”: quando la vera vendetta è guardarsi dentro

"Kill Bill": quando la vera vendetta è guardarsi dentro

 

di Ambra Sansolini

Introduzione

“Kill Bill 1” e “Kill Bill 2”, sono rispettivamente la prima e la seconda parte del film del 2003, scritto e diretto da Quentin Tarantino. L’attrice principale è Uma Thurman. Certamente si tratta di una pellicola in cui le scene di sangue non mancano, fedelmente allo stile del regista statunitense. Eppure la violenza passa in secondo piano, nonostante le teste mozzate, gli occhi cavati dal bulbo oculare e altre azioni raccapriccianti. Ciò che invece desta l’attenzione del pubblico è la ferrea volontà della protagonista, il cui nome nascosto tramite un “bip”, verrà svelato solamente nel secondo volume: Beatrix Kiddo. Il film narra della vendetta di una donna, che l’ex fidanzato aveva tentato di uccidere. Questa, dopo aver lottato tra la vita e la morte, tornerà dal suo aguzzino e da tutti i suoi collaboratori, per attuare la sua rivalsa e punire coloro che avevano fatto di tutto per eliminarla. Naturalmente tale vendetta va letta in una chiave metaforica, come riappropriazione della propria libertà e identità. Potremmo paragonarla al processo di guarigione che deve fare la vittima di violenza, senza spade o altre armi, ma lottando con cervello e determinazione.

Chi è la protagonista?

La protagonista è una donna, che faceva di mestiere la killer, per la banda del suo ex compagno Bill. Nel momento in cui apprende di essere incinta, decide di cambiare vita. Certa che il suo fidanzato non avrebbe mai smesso di uccidere, neppure per un figlio, gli tiene nascosta la gravidanza, con l’intenzione di cominciare una nuovo percorso. La vediamo così vestita da sposa e con il pancione, mentre fa le prove di matrimonio con il suo futuro marito, che è l’esatto opposto di Bill: un uomo tranquillo e dalla vita normale. Beatrix, aveva affinato le qualità per essere killer, grazie alla durissima scuola di Pai Mei, famoso maestro di arti marziali. Ella rappresenta la donna vittima di violenza, perseguitata e quasi uccisa dall’ex partner. Ma è una vittima sui generis, poiché riuscirà più volte a scampare la morte, grazie a una volontà smisurata. Tornerà così per vendicarsi del suo carnefice e degli adepti dello stesso. Quella che nel film è la vendetta, in verità è il processo di salvezza che deve intraprendere qualsiasi donna che abbia subito violenza. Il salto verso la libertà e la dignità, nella realtà di tutti i giorni, non avviene con la spada di Hattori Hanzo, ma guardando dentro sé stesse e riprendendo in mano la propria vita.

Chi è il carnefice?

Il carnefice è Bill, capo di una banda di killer ed ex partner di Beatrix.. Rappresenta perfettamente i tratti dell’uomo violento e dello stalker. Infatti non si rassegna ad aver perso la “sua” donna e riesce a ritrovarla, proprio mentre quest’ultima sta facendo le prove di matrimonio con il futuro marito. L’aguzzino, finge di essere venuto per assistere alla celebrazione delle nozze e invece ha preparato un piano diabolico, totalmente sconosciuto alla bella sposa. Tutto ciò perché non accetta il fatto che l’ex compagna abbia osato sfuggirgli al suo controllo, addirittura scegliendo una vita normale e rinunciando a quella di killer. Chiara è la presunzione e la psicopatia di questo personaggio, che si arroga il diritto di sapere quale sia la vera identità della donna. Secondo lui infatti Beatrix è nata per fare la killer: è una “killer per diritto di nascita”. Questo pensiero, diventa l’alibi con cui si discolpa del tentato omicidio e dell’accesa persecuzione ai danni della ex compagna, tratto tipico dei narcisisti perversi ( e degli psicopatici). In fondo ha cercato di ucciderla, per liberarla da un tipo di vita che non le apparteneva. Chissà nella sua perversa visione cosa avrebbe dovuto fare la ex fidanzata… magari ringraziarlo anche!

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La figlia come estensione di sé stesso

Come abbiamo già detto, Beatrix quando viene colpita a morte dai collaboratori di Bill, è quasi alla fine della gravidanza. Inizia così un lungo periodo in cui resta in coma e sempre sotto il controllo di altri adepti del carnefice, anche in ospedale. A sua insaputa, mentre non è cosciente, dà alla luce la bambina, che l’ex compagno tiene con sé e la madre crede essere morta. Solamente alla fine del film, la protagonista scoprirà che sua figlia è viva ed ha quattro anni: la trova dunque a casa del padre, intenta a giocare con le pistole finte. L’accoglienza che l’uomo le riserva, mette in luce ancora alcuni tratti del narcisista perverso: ha sempre parlato alla bambina di sua madre, l’ha dipinta bella e valorosa. Si fa trovare dando l’impressione di essere il padre migliore del mondo. Quale essere normale, dopo aver fatto di tutto per uccidere la donna e madre di sua figlia, riuscirebbe a costruire questa sadica finzione? Ricordiamo a tal proposito che per un narcisista perverso, un figlio è solamente una proprietà e viene visto come estensione di sé stesso.  In che modo ama la bambina, se ha fatto il possibile per toglierle per sempre sua madre?

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Il vile atto

L’attacco mortale a Beatrix, organizzato da Bill, avviene alle spalle della stessa. Dopo aver parlato serenamente con la futura sposa e averle espresso addirittura il desiderio di prendere parte alle nozze, la fa colpire dai membri della sua banda (della quale un tempo faceva parte anche la protagonista), la Squadra Assassina Vipere Mortali, composta da: Elle Driver, Budd, il fratello di Bill, Vernita Green, O-Ren Ishii. Il massacro avviene alla cappella di El Paso, in Texas, dove ci sono le prove per la cerimonia e causa la morte di tutti i presenti, tranne quella di Beatrix. Quando Bill scopre che la donna è solo entrata in coma, manda Elle a finire di ucciderla mediante un’iniezione letale; poi con una telefonata, annulla il precedente ordine, perché colpirla mentre era inerme, sarebbe stata per loro un’umiliazione.

Non si costruisce la felicità sulla distruzione di una persona

Il coma della donna dura ben quattro anni, un tempo abbastanza lungo perché la vita fuori dalla sala d’ospedale, vada avanti. L’inerzia e l’interruzione del ritmo vitale, provocate dal coma, possono essere paragonate alla fase in cui la donna resta intrappolata nella violenza. Ogni tipo di abuso infatti, che sia fisico o psicologico, ruba vita alla vita, spezza l’andamento della quotidianità. Eppure, arriva il momento in cui avviene il risveglio: non conta quanto tempo siamo restate nel buio del tunnel, ma è importante la fase in cui si aprono gli occhi. Questo può accadere per vari motivi, anche se molto spesso il movente più forte, è rappresentato dai figli. Un figlio è un motivo in più per uscire dalle violenze.
Quando Beatrix abbandona lo stato vegetativo in cui era rimasta assopita per quattro anni, si accorge che fuori tutto è cambiato: gli aguzzini hanno lasciato la banda e ognuno di loro si è dedicato alla propria felicità: Vernita si è creata una famiglia e fa la casalinga; O-Ren Ishii è diventata la regina del crimine di Tokyo; Budd fa il buttafuori presso uno strip-club; Bill è un killer in pensione, che accudisce sua figlia; Elle è l’unica ad essere ancora in stretto contatto con Bill. Nessuno di loro sa che la protagonista sta tornando per vendicarsi…

La violenza sulla Donna per mano di “donne”

Tra i quattro alleati di Bill, vi sono tre donne. Anche questo elemento purtroppo è alla base del fenomeno della violenza. Se tra le creature femminili esistesse un cameratismo come quello maschile, sicuramente gli abusi troverebbero meno terreno fertile. E invece purtroppo, per motivi naturali e culturali, le donne troppo spesso sono in guerra con altre donne.
Nella banda, Elle ha un ruolo dominante: i dialoghi con Bill e il suo smodato accanimento contro Beatrix, lasciano intendere una relazione tra i due, più o meno stabile. In passato il capo della banda aveva preferito la sua attuale ex compagna ad Elle: ciò è il motivo scatenante del cieco odio di quest’ultima verso la protagonista.

La figura di Pai Mei

Beatrix era passata tramite i crudeli insegnamenti del Sommo Sacerdote del Clan del Loto Bianco, Pai Mei :« Il legno deve temere la tua mano, non il contrario. Per forza non ci riesci, ti arrendi prima d’iniziare.» Durante il periodo trascorso ad allenarsi, grazie al Maestro, la donna ha affinato la sua già luminosa volontà. La figura dell’austero saggio orientale, è la metafora della nostra voce interiore, che ci sprona nei momenti di difficoltà. Per quanto sia complicato far indietreggiare il nostro abusante, se davvero vogliamo, possiamo farcela. Non è solo il bel finale del film: è l’aguzzino che deve temere la donna. Certamente nella vita reale non andiamo in giro a sferrare pugni o colpi di spada, ma è possibile salvarsi con la forza del cervello, informandoci e tenendo duro.

La spada di Hattori Hanzo

Una delle scene principali del film, è quella in cui Beatrix si reca in Giappone per avere la spada di Hattori Hanzo, la stessa ricevuta da Bill quando era il sicario e guardia del corpo del capo della Yakuza, Matsumoto. Quando la donna in cerca di vendetta va dal Maestro, scopre che questo era in pensione e ormai non produceva più spade. Sarà poi il motivo per cui ella richiede l’affilata lama, a far cambiare idea ad Hattori Hanzo, spronandolo a crearne una come quella che usava Bill. In effetti aveva smesso di produrre armi che portassero alla morte, ma quella donna non avrebbe ucciso per crudeltà: si sarebbe ripresa solamente ciò che le spettava di diritto. Tale spada, agognata anche dalla regina del crimine di Tokyo, O-Ren Ishii, è il simbolo di tutte quelle virtù che la donna può scoprire in sé stessa a seguito delle violenze. La sofferenza di certi abusi infatti, ci mette in contatto con una parte della nostra anima, che probabilmente, senza tutto il calvario, rimarrebbe sempre sconosciuta. La violenza non lascia molto spazio: o soggiaci, o diventi più forte. La malvagia Elle, avrebbe pagato un’esosa somma di denaro per quell’ “arma”, ma certe virtù non si comprano con i soldi. Colei che avevano tentato di schiacciare in tutti i modi più vili e sadici, sfoderava ora delle qualità, che i membri di quella banda potevano solo sognare e che non avrebbero mai immaginato in possesso di Beatrix, “la bella biondina”.

La lista della vita (“Life list”)

La protagonista stila la lista dei nomi di coloro che avrebbe dovuto uccidere, chiamata appunto “Death list five”. La stessa cosa dovrebbe fare una vittima divenuta consapevole: porsi degli obiettivi attraverso i quali riprendere in mano la propria vita. Nella confusione generale e nell’azzeramento totale cui portano le violenze, porsi delle mete da raggiungere è il primo passo per non guardarsi più indietro e non cadere nello sconforto. Trovando ostacoli più o meno grandi, in ogni caso bisogna ripartire da zero. Per quanto un foglio bianco possa far paura, occorre pensare che ci è data la possibilità di scrivere la nostra storia: questa volta veramente come vogliamo noi. Non ci sarà più nessuno a prometterci l’amore e poi a stringerci in una dolorosa morsa.

Il bivio e la scelta

Arriva un punto in cui dobbiamo scegliere chi essere davvero. Non è detto che ciò che abbiamo fatto per lungo tempo, rappresenti a pieno la nostra identità. Una killer ha il diritto di scoprirsi madre di famiglia e commessa, se tutto questo per lei è la Felicità. Diamoci la possibilità di essere felici veramente, anche se è necessario combattere tanto e intensamente. Qualcuno ha deciso che siate vittime, ma voi cosa scegliete? L’etichetta che vi mette addosso il carnefice, non è quella che rappresenta la vostra anima. Il fondamentale passo della denuncia-querela, non è la fine della battaglia, ma l’inizio. Anche Beatrix credeva che scappare lontano e cambiare vita, potesse bastare per essere libera. E invece il combattimento più difficile, è iniziato proprio quando aveva finalmente scelto chi essere.

Conclusioni

Non posso dirvi che sarà facile, ma posso assicurarvi che ciò che troverete fuori dal tunnel delle violenze, vale più di qualsiasi battaglia. Nel film, il pianto misto al sorriso di Beatrix, è l’espressione palese della liberazione e della faticosissima conciliazione con sé stessa. In fondo non sarà la denuncia o la presunta condanna del carnefice a restituire ciò che vi è stato vilmente sottratto. Per quanto possiate cercare sostegno fuori,è dentro di voi che dovrete guardare; combattere il carnefice, significa prima sconfiggere i vostri fantasmi. Datevi tutto il tempo per piangere e soffrire. Le violenze soffocano e ti costringono a vivere all’angoletto, come quando la protagonista era chiusa viva in una bara di legno. Mangiate fango e lacrime, gridate e arrabbiatevi. Sbattete i pugni, spaccate il legno, ma quando vi rialzate e uscite fuori, assicuratevi di essere libere da ogni condizionamento del passato. Sarete guarite quando vi accorgerete che non provate più neppure rabbia, poiché dovete concentrarvi su emozioni positive per ricostruire la vostra vita. Non lasciatevi prendere dallo scoramento di ripartire da zero. In fondo rinascere vuol dire anche questo. Gioite per il fatto che ora sarete solamente voi a riempire quell’immenso foglio bianco chiamato tempo e nessuno più potrà schiacciarvi. Sopravvivere alle violenze ha senso solamente se entriamo in contatto con quella parte di noi nascosta : è lì che c’è la forza di un uragano. So quanto possa sembrare assurdo e contraddittorio, ma arriverà anche il giorno in cui direte grazie al vostro aguzzino. Perché è mediante ciò che vi ha costretto a soffrire lui, se oggi siete delle donne migliori. Questa è la vendetta più grande, che ha il sapore della Libertà e della Dignità.

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