La violenza compiuta dalle Istituzioni. Quando a pagare sono donne e bambini

 

Articolo tratto dall’Associazione Olafa

Introduzione

Sono ormai innumerevoli a Torino i casi in cui le donne, vittime di violenze, subiscono le umiliazioni e le discriminazioni proprio dalle Istituzioni. È quanto sta accadendo alla Dr.ssa Olga Chernikova, la madre di Alessandro Digiorgio. Il tribunale per i Minorenni della città piemontese ha arrecato un danno enorme a questo bambino, vittima delle torture e dei maltrattamenti da parte del padre e precedentemente da parte degli educatori della comunità “Altalena”. Un oltraggio alla Giustizia italiana e allo Stato. Ogni magistrato dovrebbe essere chiamato a rispondere con coerenza ai reati, applicando le norme adattabili a ogni altro cittadino e quelle inerenti alla qualità di pubblico ufficiale per le fattispecie delittuose, compiute nell’esercizio delle funzioni.

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L’altra faccia della violenza sulle donne. Quando a pagare sono anche i loro figli

 

di Ambra Sansolini

Introduzione

Ci sono momenti in cui neppure uno scrittore riesce a trovare le giuste parole. Questo è ciò che è accaduto a me, da quando una donna ha rilasciato il materiale relativo alla sua assurda vicenda di violenza. Da mesi ho in mano quegli allegati, che leggo e rileggo, senza riuscire a trovare il modo di iniziare l’articolo. Non so da che parte cominciare. Ogni volta che provo a scrivere, mi sento un nodo in gola. La schermata bianca del PC, per la prima volta, mi fa paura, perché so che devo riempirla con il dolore immenso di una madre e un bambino.
Allora mi pongo una domanda, semplice e chiara: se faccio così fatica io, che devo solamente trovare il modo di dar voce all’atroce sofferenza, cosa stanno vivendo queste due creature innocenti?

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I contatti distruttivi con l’abusante. Come liberarsi da questa trappola? Due testimonianze a confronto

 

di Ambra Sansolini

Introduzione

Tutte le donne che sono state costrette ad avere contatti con l’uomo maltrattante, per la gestione dei figli, sanno quanto sia deleteria quella “comunicazione”.

Il dramma è che la Legge non ravvisa “la violenza tra le righe”, che è una forma di abuso psicologico. Anzi, molto spesso accade che punisce proprio la vittima, indotta a reagire per difendersi dagli attacchi del carnefice.  E così, come per magia, l’aguzzino diventa persino la vittima. Un ribaltamento della realtà assurdo e nocivo per colei che, oltre al danno, subisce la beffa. Tutto ciò è il frutto del disegno diabolico dell’offender, il quale sfrutta ad hoc i limiti di una Giustizia superficiale e grossolana. Come bisogna far capire ai nostri Magistrati che le parole uccidono?

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Le gomme dure: una banda a servizio del carnefice

 

di Ambra Sansolini

Le gomme dure

Cosa accade quando il carnefice si sente un boss e crea una specie di banda per distruggere la vittima?

Nell’accezione comune il reato di stalking o atti persecutori prevede appostamenti del carnefice presso l’abitazione, la sede di lavoro o i luoghi frequentati dalla vittima. Ma esiste una forma atipica di questo crimine, che si attua quando a pedinare non è direttamente lo stalker, ma amici, conoscenti o familiari dello stesso. Sicuramente meno frequente del caso più comune, soprattutto perché non è facile trovare qualcuno che sia disposto a rischiare per un’azione illecita, voluta da un altro. Quindi, in che maniera l’uomo violento riesce a trovare dei “collaboratori”? Solitamente si tratta di un soggetto già inserito nella vita criminale o comunque di un antisociale, ossia di un individuo pericoloso per chiunque. Spesso, il reclutamento dei complici avviene dietro compenso pecuniario o scambi di favori inerenti ad attività delittuose già avviate. Va ricordato che quasi sempre l’abusante è un narcisista perverso o uno psicopatico e pertanto tutte le sue relazioni interpersonali sono prive di critica e dissensi. Nessuno può osare contraddirlo e la formula con la quale vive è “o con me o contro di me”. Da ciò ne segue il totale assoggettamento di tutti coloro che sono riconosciuti come amici o con i quali stringe qualsiasi tipo di legame. Ecco spiegata la facilità con cui arriva ad avere dei complici, disposti a tutto pur di servire il loro “re”. Si tratta di persone affette dal suo stesso disturbo di personalità oppure di vittime, incapaci di ribellarsi. A quest’ultima categoria appartengono quelle che gli specialisti definiscono “scimmie alate”.

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La delirante lettera di uno psicopatico

 

di Ambra Sansolini

Introduzione

I media ci informano quotidianamente sui femminicidi, senza mai rendere verità alle donne costrette a vivere una violenza psicologica infinita, qualora siano costrette a condividere con l’uomo maltrattante dei figli in comune. Ma cosa significa per un soggetto patologico mettere al mondo dei figli? Perché, pur non adempiendo ai doveri e alle responsabilità genitoriali, mostra un attaccamento morboso verso la prole? E soprattutto con quanta facilità un individuo violento crea “famiglia”?

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Le mollettine rosa: lettera di una figlia alla madre narcisista

 

di Ambra Sansolini

Introduzione

Attraverso questa lettera, scritta da una figlia alla madre narcisista,    cerchiamo di capire perché alcune donne siano più predisposte a relazionarsi con uomini violenti e narcisisti perversi. Negli articoli successivi analizzeremo l’epistola. Lo scopo è rendersi conto di quanti danni possano fare un padre o una madre disturbati. Essere genitori è sicuramente il mestiere più difficile al mondo, ma un principio fondamentale è considerare i figli come figli della vita e non una proprietà: cosa che risulta impossibile ai narcisisti perversi.

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Era “per te”, oggi è “per me”

 

di Ambra Sansolini

Per te ho allontanato le persone che mi volevano bene, mi sono sforzata di essere quella che non ero. Per fare sorridere te, ho rinunciato al mio sorriso; per fare dormire profondamente te, non ho dormito. Eppure non ti andava mai bene. Per te ho provato a invecchiare prima, in modo che fossimo tutt’uno anche sotto l’aspetto anagrafico. Per te mi facevo bella, ma non te ne accorgevi mai.
Quando mi svegliavo la mattina, la giornata che stava iniziando, mi appariva come un macigno da portare sulle spalle: in fondo avrei solo voluto chiudere gli occhi e continuare a dormire, ma non ero padrona più neppure del mio sonno, perché ti eri preso anche quello.

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La violenza sulla violenza: le Assistenti sociali

Riprendiamo l’intervista a “Maria”. Attraverso il suo racconto, capiremo nella realtà, con quali figure “professionali” sia costretta a rapportarsi una donna che decide di denunciare le violenze domestiche, qualora abbia figli in comune con il carnefice. L’ex compagno di Maria, verrà chiamato R.

Maria, eravamo arrivate al punto delle Assistenti Sociali. Che impressione avesti di loro?

«La prima volta che entrai in quel reparto della Asl, ebbi l’impressione di aver varcato la soglia dell’inferno. Il primo impatto non fu affatto positivo. Si respirava un’aria di tacita sofferenza. Capii subito che mi ero andata ad affossare in un pantano…»

Come ti accolsero?

«C’era una Dottoressa, spettava a lei seguire il nostro “caso”. Io ero in sala d’attesa con mia figlia. Naturalmente appena uscì dalla sua stanza, ci sorrise e con quell’aria falsamente amorevole disse: “Sei tu la piccola Valentina, vero?” La bambina non rispose: a due anni ancora parlava poco e poi credo fosse anche agitata»

Ebbe così inizo il colloquio. Ce lo descrivi brevemente?

«Come prima cosa mise la bambina a giocare da una parte e fece una serie di domande sulla mia vita».

Domande di che tipo?

«Doveva avere ogni informazione su di me, per iniziare a sviluppare un profilo completo della figura materna. Mi chiese se lavorassi, dove, da chi fosse composta la mia famiglia, quale fosse la professione dei miei genitori etc. Poi una serie di domande invece furono rivolte al rapporto con il mio ex compagno».

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La violenza sulla violenza: contro un sistema

 

di Ambra Sansolini

 

Introduzione

Abbiamo raccolto la testimonianza di una donna vittima di violenza domestica e stalking. Ci siamo soffermati sulla sua personale esperienza della denuncia-querela. In TV e in ogni dove, viene continuamente detto alle donne di denunciare, ma nessuno spiega loro cosa realmente troveranno dal momento in cui busseranno alla Caserma dei Carabinieri o alla Questura della Polizia. Per questo motivo, attraverso i recenti ricordi di chi ci è passata, vogliamo fare uno zoom su una situazione reale e drammatica, più della violenza stessa.

La donna da noi ascoltata, per motivi di privacy, verrà chiamata con un nome di fantasia, cioè Maria. Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistite, è puramente casuale.

Maria ci ha accolti con il sorriso proprio di chi ne ha vissute tante, uno di quelli che farebbero uscire il sole anche nelle giornate buie e uggiose, tipiche del mese di Dicembre. Non ci vuole molto perché si apra completamente e il suo dolore trovi espressione in parole indelebili, come i segni lasciati dalla violenza.

Ciao Maria, quando sei pronta, iniziamo…

Sorride (n.d.r.) e aggiunge: «Credo di essere nata pronta».

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Amarsi per amare: come prevenire la violenza sulle donne

 

di Cristina Cannas

Introduzione

Oggi riportiamo un’analisi dettagliata del fenomeno della violenza domestica, effettuata da Cristina Cannas. Una donna che, per esperienza personale e attraverso i racconti di altre donne, ha rilevato alcuni tratti ricorrenti all’interno di questo pericoloso meccanismo. Ci ha fornito dei preziosi spunti di riflessione, partendo dal racconto della storia personale di una sua amica, il cui nome “Maria” è puramente di fantasia.

La gabbia dorata

Quando ho avuto l’occasione di parlare con Maria, mi ha detto che aveva sfiorato l’inferno. Era in una “gabbia dorata”, come la canzone di Tiziano Ferro, le cui parole recitano: “Ho vissuto tanti anni in una gabbia d’oro, sì forse bellissimo, ma sempre in gabbia ero”. Chiunque dall’esterno poteva giudicare il suo rapporto invidiabile. Quante donne, sono imprigionate ancora in un legame che la gente da fuori, definirebbe “perfetto”?

Pregiudizi sociali

Da queste parole, ho capito che esiste una specie di automatismo, per cui se sei giovane, carina, hai un bel marito, con un buon lavoro, una bella casa, un’auto lussuosa e puoi permetterti di viaggiare o fare shopping, non puoi non essere felice e appagata. Cosa ti manca? Hai tutto e se ci rinunci, sei stupida.

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